giovedì 27 dicembre 2018

Moicana

Moltissimi anni fa in uno dei tanti convegni istituzionali, chiamato Bande giovanili, un gruppo di ragazzi fece irruzione e con un’azione molto punk si lacerò la pelle con le lamette e sparse il proprio sangue sul regolamentare tavolo della presidenza. Il senso era esplicito: volete analizzarci? Ecco, cominciate da qui. Ne è passata di acqua nei Navigli, Milano si è trasformata (non più del tanto) e quei personaggi bizzarri oltre a imparare, come direbbe Woody Allen, che il sangue è meglio che stia al suo posto, sono cresciuti, si sono moltiplicati e, pur non avendo perso di un filo il coraggio dell’epoca, hanno coltivato altri modi di comunicare, oltre alla (necessaria) provocazione. Università della strada è il primo risultato di Moicana, un nome collettivo dedicato “nuove forme di aggregazione spontanea spontanea in contrapposizione al dominante, qualunque esso sia; proprio come lo furono i nativi americani”, ma che non può non ricordare le creste dei punk. Più dell’università, conta la strada perché come scrive Ferruccio Cappelli “il volume, nell’insieme, aiuta a ricostruire un quadro di come si è evoluto il clima culturale della città negli ultimi cinquant’anni: le grandi fratture sociali e politiche di questo mezzo secolo sono state accompagnate da altrettante scansioni culturali. L’underground, ci suggerisce il libro, ha probabilmente anticipato questi bruschi sommovimenti: lo ha fatto negli anni della speranza, ma anche quando gli orizzonti hanno cominciato a rinchiudersi”. Milano è una città ambivalente, capace di lasciare spazi enormi, ma anche di ripararsi in un ottuso provincialismo, fatto più che altro di apparenza e ipocrisia. È su quel territorio che i fermenti controculturali hanno avuto una visione molto più ampia, verrebbe da dire metropolitana, di sicuro più fantasiosa ed eccentrica. Come scrive l’antropologo Andrea Staid in Controculture, resistenza e capacità abitative informali, “questi movimenti di lotta modificando la città vetrina con dei processi di mutazione culturale, portano a una revisione molto interessante dell’abitare urbano: quasi una forma di eterotopia, non un’utopia inarrivabile, ma realtà diverse create e custodite ogni giorno. È importante non smettere di pensare all’avvenire ma è altrettanto importante darsi da fare nel qui ed ora, creare degli esempi e sperimentare come vivere in un modo diverso, dove l’abitare smetta di essere qualcosa che ha a che fare con la merce, la solitudine, la chiusura e la proprietà privata”. Si va da Addio a Barbonia City (siamo nel 1967) dedicata all’esperienza beat in via Ripamonti, “una breve estate di tentativi di amore e di rivolta” come li chiama Gianni De Martino in un’area dove l’ingenua tendopoli dei nostrani beatnik venne poi sepolta dalla speculazione edilizia. È anche il periodo in cui prendono forma L’inquieta repubblica popolare di Brera nella vivida descrizione di Matteo Guarnaccia e le prime avvisaglie del Femminismo raccontate puntualmente da Lea Melandri. Il decennio successivo sarà ancora più movimentato, con i suoi festival, riportati da Eugenio Finardi e Filippo Del Corno e Gianfranco Manfredi e le coraggiose innovazioni, dalla psichiatria al teatro, all’arte in generale. L’avvento del punk genera un’onda lunghissima che spinge mezzo secolo di controculture fino a oggi: si parla di fanzine, di occupazioni, di cultura digitale, di rap e di rave, di poesia e di boxe. Tutto autoprodotto, indipendente e brillante di luce propria nel narrare i Repentini cambi di stagione, come li chiama Massimo Pirotta, intrisi fino al midollo di grande musica, in un arco ideale che va dal 1964 di The Times Are a Changin’ di Bob Dylan al 1991 di Smell Like Teen Spirit dei Nirvana.

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