mercoledì 26 giugno 2019

Gaznevada

Nell’apocalittico 1977, incastrati tra l’inamovibile tradizione delle osterie bolognesi, la repressione militaresca dei movimenti e la silente ortodossia, i Gaznevada fecero la loro prima apparizione. Una scheggia impazzita, una canzone frenetica e selvaggia (Mamma dammi la benza!), suoni stridenti e abrasivi, un pubblico annichilito. Pochi minuti, sufficienti per tracciare una linea di demarcazione e rendere obsoleto tutto ciò che c’era prima. Come molte delle inafferrabili variabili nella storia dei Gaznevada, quell’exploit avvenne con l’identità del Centro d’urlo metropolitano, elaborata definizione che raggruppava l’embrione di un gruppo di zingari felici che, come scrive Luca Frazzi, “mettevano la  testa sopra il filo dell’acqua per sopravvivere all’ecatombe (pallottole, noia ed eroina) aggrappandosi ai Sex Pistols e ai Ramones. Curioso, no? Per tornare a respirare i figli del movimento si affidavano al disimpegno e alla provocazione fine a se stessa. E lo facevano in modo magistrale. Di loro si diceva che fossero il braccio armato musicale della coltissima Traumfabrik, in realtà i Gaz all’inizio era un tozzo, caciarone, magnifico gruppo punk. Poi divennero altro. Studiarono, maturarono, sperimentarono. Ma all’inizio erano questo, un gruppo punk, di intelligenza sopraffina e dalla mano pesante”. Con la stessa attitudine, i Gaznevada si raccontano, con l’aiuto di Oderso Rubini (che li produsse e li guidò tra i campi minati della discografia), dentro una trama frammentaria e per niente lineare, eppure fedele alle cronache, a partire dalla scelta del nome, pescato un po’ per caso e un po’ in un racconto di Raymond Chandler che descriveva “il gas di Nevada” come “una sostanza tossica dall’acre sapore di mandorla con la quale ingenui quanto loschi personaggi nell’omonimo stato americano sopprimono menti criminali e perverse”. La decisione di trasformarsi in Gaznevada avviene a Londra, l’approdo inevitabile in cerca dei Sex Pistols e degli Ultravox, degli Stranglers e degli XTC, nutrendosi di fish & chips e/o chicken & chips e respirando l’aria della rivolta, mentre l’Italia è rimasta ferma a vecchie cerimonie e rinnovati massacri. Ma l’epifania arriva prima grazie a un disco, Leave Home dei Ramones, che inaugurerà la nuova stagione dei Gaznevada. Un momento che Gianluca Galliani alias Nico Gamma o più semplicemente Gaz ricorda così, nella sua “novella-documento” Hystory And Hysteria: “Quella era roba veramente nuova, impressionante, un devastante muro di suono sparato ai 2000 all’ora, con un pezzo dietro l’altro, nessuno più lungo di tre minuti, anzi, per la precisione pochi superavano i due minuti e quasi tutti simili sebbene differenti... Senza fiato, senza tregua, senza lasciare respiro e tuttavia orecchiabili. Ti veniva, dopo un primissimo e stupito ascolto, una voglia irrefrenabile di ballarli... Ma con un ballo disorganizzato, duro, di guerra. Un sound ruvido, da garage, ma corposissimo, abrasivo e nel contempo melodico. Mai commerciale. Niente assoli, o al massimo due tre note sbattute qua e là. Pezzi semplici in fondo, ogni buon ragazzotto schitarrante o sbatacchiante avrebbe potuto facilmente suonarli. Geniali!”. I Gaznevada li suonarono a ripetizione, duri, isterici, nevrotici eppure capaci di intraprendere una via personale tra i grattacieli congelati di New York (Nevadagaz) e il pericoloso “radiodisturbo” (Telepornovisione) coltivando un linguaggio senza filtri, freddo, ipnotico e lampeggiante come un neon impazzito in una città con troppi nemici e con le palle rotte. Le vicende dei Gaznevada proseguiranno, in altre forme, con altre deviazioni, ma “solo dettagli”, comunque, scrive Gaz in conclusione. Dentro queste righe e in un pugno di canzoni incise all’inizio del 1979 c’è tutta l’urgenza di un gruppo impaziente, non allineato, incontrollabile, spiritato che ha sputato in faccia al futuro.

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