A seconda di come lo si usa, il lardo può essere la parte più pregiata della carne del maiale, così come surplus, grasso, abbondanza in eccesso. Vale anche per la poesia di Guido Oldani: è sottile, eppure densa e saporita proprio come il lardo, e intensamente radicata alla terra di Lombardia, alla nebbia e a piatti e “manicaretti” assurdi (memorabili, in questo senso, i versi dedicati alle rane fritte), ma è anche una poesia “civile” nel senso che non gli sfugge niente e nessuna delle brutture del mondo e le rinchiude in cornici fatte di una lingua preziosa e ricercata. Delle speculazione edilizie, una devastazione che ha violentato il paesaggio della pianura nell’indifferenza generale scrive: “Il suolo a vista, pare una minestra, e l’aria vi galleggia come il grasso, sul brodo disadattato per la dieta, questo è un paesaggio alla fin fine, con anche capannoni e residenze, sembrano seni e pubi, giustapposti, e l’assessore è il mostro di Firenze”. Versi che sarebbero piaciuti molto a Italo Calvino: nella loro “leggerezza”, gli haiku di Guido Oldani non lasciano nulla al caso. La sua poesia ha un rigore particolareggiato e a tratti bizzarro perché sotto il suo cielo (di lardo, di nebbia, di terra e di pane) “i poliziotti arrestano i buoni”, e ai cattivi, se proprio vogliono pentirsi “basta soltanto, defecare il cuore” tanto, e del resto, nonostante “un fango nero che dilaga”, non c’è da preoccuparsi: “in copertina il titolo è fatale, almeno fin che è sorto il giorno dopo, o addirittura il suo contrario vale”. Il poeta perdonerà il traffico caotico di “borborigmi”, usati a scansioni irregolari per rendere l’idea di una poesia non facile se letta, magari in cerca di un significato che non ha, ma irresistibile se “ascoltata” nel suo ritmo. E’ un borbottio di sillabe che ha tutta una sua musicalità un po’ ciondolante, mai invadente e sempre fragrante, proprio come una fettina di lardo su una crosta di pane calda o come un cielo nell’inverno della pianura, un luogo dove ormai le parole vanno colte caso per caso, quasi cercando un rammendo a zig zag, in modo furtivo perché tutto quello che viene concesso è “il silenzio come fa la carpa” (che, guarda caso, è un pesce da fondale, sporco e grasso). Invece il poeta resta in piedi e, davanti alle sue parole, che si stagliano, come se fossero moniti, segnali, presagi e, per certi versi, persino rivendicazioni, quando Guido Oldani avverte: “Sto in mezzo al popolino dei neroni che è saltellante cui carboni accesi e siamo mezzo illesi se va bene. E mentre cresce il bosco in scandinavia qui lo arde chi è palazzinaro, e noi che siamo anche gente savia usiamo la nazione per fornello che bolle il mare d’acqua già salata: per cuocerci l’eterna spaghettata”. Lo stile si riconosce a distanza, la verve polemica va di pari passo con la ricercatezza linguistica che spiazza, disorienta, confonde, ma celato nel suo eccentrico glossario c’è una voce singolare e autorevole che rende Il cielo di lardo un piccolo gioiello di vera libertà (non solo poetica, non soltanto culturale).
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