In tempi in cui l’Italia, o almeno le parti essenziali del dibattito pubblico, è ridotta al vociare di un’osteria (con tutto il rispetto per le osterie) questo lavoro collettivo guidato da Angelo Del Boca traccia una sorta di punto di non ritorno. Negli ultimi anni il revisionismo storico ha trovato nel nostro paese, e su tutti i fronti, un’inaspettata fortuna editoriale e commerciale e parecchie sponde politiche, non del tutto disinteressate (anzi). Per cui è diventato gioco facile ribaltare verità storiche consolidate e documentate opponendo il ritorno all’infallibile certezza dei luoghi comuni, alle polemiche gratuite e alla rissa continua dei talk show. Utile a generare ampie zone grigie in cui la storia viene negata ad uso e consumo di questa e/o quella posizione politica (se non proprio governativa) e delle utilità di mercato. Il punto di partenza del libro non è che il revisionismo sia negativo in modo assoluto. Anzi, le riletture e gli approfondimenti storici sono indispensabili al confronto e alla maturazione di un’opinione pubblico. È l’uso “politico” della storia a generare aberrazioni pericolose e a condurre il revisionismo su un binario parallelo al trasformismo, dove si può dire quel che si vuole, senza eccezioni di sorta. Come dice con chiarezza Angelo Del Boca nell’introduzione “l’uso politico della storia, che nulla ha a che fare con la ricerca storiografica, non ha risparmiato nessuna delle grandi questioni della nostra storia nazionale”. Partendo da questo appunto, Giovanni De Luna propone un’analisi ancora più stringente sulle caratteristiche del revisionismo nostrano: “Esiste infatti un’intrinseca affinità concettuale tra il revisionismo e l’universo mediatico, la fame di notizie, di novità, di rivelazioni clamorose, ad esempio, costringe i giornali a inseguire con accanimento quasi maniacale le revisioni, le demolizioni delle vulgate tradizionali, le scorrerie scandalistiche nel nostro passato. Il revisionismo è esattamente questo, un fenomeno essenzialmente mediatico, che ha avuto un fortissimo impatto sul mondo della politica, ma una ricaduta pressocché nulla sul piano della ricerca e degli studi storici, un fenomeno che in questo senso ha consentito ai suoi esponenti di maggior spicco di conseguire risultati sul piano della propria visibilità pubblica, senza incidere molto, invece, sui processi di comunicazione e di elaborazione che nutrono oggi la comunità degli storici”. La “storia negata” affronta un secolo di vita italiana in densi capitoli che cercano di mettere ordine tra i luoghi comuni e le idiosincrasie del revisionismo (e in parecchi casi del negazionismo) leggendo e rileggendo il processo di unificazione nazionale, l’espansione coloniale (dove viene fatto a pezzi l’assunto degli italiani “brava gente”), la seconda guerra mondiale e la Shoah, la Resistenza e la costituzione. A parte i temi specifici, qui trattati in sintesi ma con un minimo di rigore storiografico, il nucleo essenziale sta proprio nell’evidenziare il carattere aleatorio di un certo revisionismo, come sottolinea con puntualità Lucia Ceci: “C’è poi una questione ulteriore, forse meno evidente, ma centrale per la storia come disciplina scientifica e per la costruzione di un corretto senso comune: estremizzando in modo radicale una lettura manichea del passato si risolve il sapere storico in interpretazione soggettiva, in cui non c’è una verità legata al rapporto con il documento che può verificarla o falsificarla, ma tutto è ricondotto a opinione, lettura particolare. Oltre a diffondere informazioni e letture infondate sul piano documentario una tale produzione editoriale, con il decisivo veicolo dei media, rischia insomma di trasformare, agli occhi del grande pubblico, la storia in un insieme indistinto di interpretazioni del passato, tutte con uguale diritto di cittadinanza”. Ha quindi ragioni da vendere Angelo Del Boca quando di fronte alle tante capriole di vecchi e nuovi revisionisti dice: “Conservo qualche dubbio”. Anche noi.
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