Editore per caso (ma con cognizione di causa: “Pubblico i libri che mi piacciono: i libri che vorrei essere capace di scrivere”), scrittore per vocazione, viaggiatore per altre ragioni professionali (si occupa di microcredito), Andrea Berrini rimane affascinato dal repentino sviluppo delle metropoli asiatiche e dal proliferare di nuovi narratori orientali. Dall’idea di una collana editoriale apposita, nasce il marchio Metropoli d’Asia, che Andrea Berrini dirige seguendo il modello di un’antica scuola: incontra e segue gli Scrittori dalle metropoli, vive con loro, si confronta e si scontra. Un’avventura singolare e cosmopolita che deve fare i conti con la censura nella Pechino di Ou Ning e Zhu Wen, con le estreme contraddizioni dell’India di Annie Zaidi e Ambarish Satwick e con i labirinti dell’allucinante Singapore di Fong Hoe Fang. Per quanto informale e scorrevole, il racconto di Scrittori dalle metropoli è curioso e ricco di suggestioni, e non solo letterarie: è tra le ombre di quelle metropoli che s’intravede il futuro perché “le città non sono ambiente proprio ai ai suoi abitanti, non c’è niente di immobile, non c’è un posto all’aperto dove sia possibile fermarsi. Sempre in via di ristrutturazione ogni strada, ogni palazzo ha il suo punto di sventramento, e per mantenere l’orientamento dentro un paesaggio indistinguibile non si può far altro che lasciarsi andare, dirigendo i propri sensi verso le persone: sentire attorno a sé la folla in movimento che diventa il mare in cui si galleggia, la protezione di una città-natura eccessivamente ostile. Corpi che in quei momenti accolgono”. Nei meandri di Pechino, Singapore, New Dehli o Mumbai Andrea Berrini conosce, intervista, discute e si muove come “un uomo senza patria” e, per dirla con Kurt Vonnegut, citato in epigrafe, sa benissimo che “siamo qui sulla terra per andare in giro a cazzeggiare. Non date retta a chi dice altrimenti”. È vero, così come è altrettanto sensato pensare che le avventure con gli Scrittori dalle metropoli rappresentino per Andrea Berrini qualcosa di più, e di diverso, come ammette nell’introduzione: “Per decenni mi son sentito appiccicata addosso una passione (una coazione a capire) per le società, i ceti, la politica, le relazioni tra gruppi umani. Ora davanti a me si apriva un mondo nuovo, in pieno movimento, sul quale provavo un inderogabile bisogno di far luce: ricominciare a ragionare, uscire dalla palude di un’Italia che, immota sulla via, ripeteva il suo verso”. Là fuori c’è un universo che fluttua, a tratti inarrivabile per la distanza, le sottili asprezze linguistiche, gli usi e costumi ancestrali che si mescolano con l’impetuoso avanzare della tecnologia, svelando paesaggi e immaginari ballardiani. Gli appunti dei viaggi, gli aneddoti, i dialoghi raccolti da Andrea Berrini sono il tentativo di assolvere al compito dell’invenzione della realtà, svolto con assidua partecipazione e persino con garbo nel chiedere “chi sono gli scrittori capaci di raccontare questa città che muta? E di esplorare al di là del proprio orizzonte sociale, abbassando lo sguardo da uno status di privilegio?”. La domanda non resta inevasa: per gli Scrittori dalle metropoli superare i confini, è qualcosa in più di una parola d’ordine.
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