lunedì 1 aprile 2019

Roberto Manfredi

Il rapporto tra gli artisti e il potere è sempre stato conflittuale, e così deve essere. È inevitabile che “vite estreme e fugaci percorse sul filo di lana. Passione e disincanto, conoscenza ed esplorazione, amore per la vita al punto di sfidarla oltre ogni limite” si scontrino con l’ordine delle istituzioni e tutte le forze preposte a mantenerlo. C’è una sezione pubblica nel website dell’FBI (grazie al Freedom of Information Act, uno strumento di garanzia introdotto negli Stati Uniti nel 1966 e adottato in Italia, con moltissime riserve e sulle sollecitazioni dell’Unione Europea, solo nel 2016) dove si può scorrere uno sterminato archivio di materiali derivanti da indagini. Bertolt Brecht, Charlie Chaplin, Elvis Presley, Frank Sinatra, Henry Miller, Allen Ginsberg, Jefferson Airplane, John Steinbeck, Janis Joplin, Jerry Garcia, John Updike, Marilyn Monroe, Marvin Gaye, Doors, Beatles, Grateful Dead (solo per citare alcuni) sono allineati con il loro bravi dossier con i peggiori criminali, narcotrafficanti, serial killer, spie, politici, corrotti e corruttori. Si capisce perché leggendo Artisti in galera che, come si premura Roberto Manfredi nell’introduzione non è formato dal biografie di artisti “maledetti”. Da Billie Holiday a GG Allin, “sono solo persone che hanno scelto di percorrere strade diverse, percorsi estremi e pieni di insidie per sentirsi disperatamente più vivi e dare un senso alle loro esistenze, molto spesso bruciate in un lampo”. Le sintesi (ogni piccolo capitolo è composto da una mezza dozzina di pagine, comprese le interpretazioni con il bel tratto di Tom Porta dei “mugshot”, ovvero le foto segnaletiche dei reprobi) non tolgono nulla alle  cupe atmosfere degli stati di alterazione di Chet Baker o dell’arresto di Chuck Berry, della persecuzione contro Lenny Bruce (un genio, anche lui inseguito a lungo dall’FBI), delle traversie di James Brown “living in America” e di quelle di Fela Kuti a San Vittore e in Nigeria. Non tutti sono soltanto un “disturbo pubblico” come Johnny Cash, Pete Townshend, Frank Zappa (uno che dava davvero fastidio quando diceva che “oggigiorno la disonestà è la una regola e l’onestà l’eccezione”) o Timothy Leary. C’è qualcuno che in galera è finito per omicidio (Bertrand Cantat, Phil Spector, Kristian Vikernes), qualcun altro, (Tupac Shakur e Notorious B.I.G.) che viveva in un mondo dove armi e droghe rientravano nelle prassi quotidiane, ma in un modo o nell’altro gli Artisti in carcere ci finiscono dalla Norvegia all’Iran, dall’America all’Italia rappresentata, nell’occasione da Vasco Rossi, Mia Martini e Sophia Loren. Lo spaccato è a tinte torbide, ma molto realistico e alla carrellata principale vanno aggiunte le due appendici riassuntive (dedicate rispettivamente a cinema e musica) che aggiungono, in breve, un’altra trentina di casi umani, da Charlie Parker a Zsa Zsa Gábor, compreso Keith Richards. Figurarsi se poteva mancare all’appello: la sua filosofia (“Non ho problema con la droga. Ho un problema con la polizia”) condensa tutta l’epopea degli Artisti in carcere.