martedì 4 marzo 2025

Valerio Valentini

Da un punto di osservazione privilegiato, il divano di un appartamento in prestito, un outsider incapace di credere nel minimo compromesso, prova a comprendere quella sensazione, che si respira spesso in Ci sono molti modi, di essere giunti a un capolinea: “Mi sorprendo a pensare come in questo posto, all’apparenza inanimato, tutto si accompagni perfettamente ai recinti di cemento; il progresso che convive con la natura è così assurdo che riflette la fatica degli esseri umani di vivere negli stessi casermoni, nei luoghi che loro stessi si sono costruiti. Tutto ciò mi fa pensare che nulla è per natura; l’uomo nasce per morire solo, nonostante tutti gli sforzi fatti in vita per coesistere con qualcun altro”. Prima di tutto, c’è una definizione urbana, architettonica ed estetica a cui Valerio Valentini concede i passaggi più lirici del suo esordio: “Posti come questo sono cambiati molto durante gli anni; è come se si fossero pian piano disgregati sotto i nostri occhi, senza che ce ne accorgessimo. Ci siamo girati dalla parte opposta per non guardare quello che moriva, abituandoci all’idea che l’orrendo sostituisse quello che c’era prima”. Il quadro ambientale, dal labirinto dei quartieri di Roma, che “è ed è sempre stata così, terra di tutti e di nessuno, terra di conquistatori, di santi e di coatti” fino al litorale laziale è un’esperienza disturbante. L’unica eccezione è una visita a Castel Sant’Angelo, dove i tempi della fede dettano altre misure, ma è solo una parentesi dentro un habitat con poche speranze: “In lontananza Ladispoli si erge come una cupola di cemento armato che ricopre tutto: sembra uno di quei film apocalittici dove gli alieni, pronti a invadere la terra, si avvicinano oscurando il sole con le loro grandi navicelle spaziali. Tutta la città si è arresa all’abusivismo edilizio che ha prosperato nella noncuranza dei cittadini, il mare è uno dei pochi boccaporti sicuri in cui le persone si riversano per cercare il conforto della natura, soffocati da una modernità che sa di cemento e catrame”. È questo il fondale su cui si stagliano le movenze di Riccardo alias Cesare, dai pruriti sulla spiaggia, quando “adolescente padrone del mondo” scopre le peripezie dell’amore, all’invenzione di una professione singolare, quella del suicidio assistito (“Io so solo farle morire le persone, so consigliare il modo adatto a lasciare questo mondo terreno, il nodo giusto da fare alla corda, il taglio esatto da eseguire sui polsi, la giusta angolazione dove puntare la pistola”). Mentre i rari clienti si avviano a un destino peggiore della morte, Riccardo si perde nella solitudine: Valeria, la prima fidanzata delle estati al mare, si sposa e lui ha una squallida avventura con due escort in un motel perfettamente inserito nella mappa della desolazione. Le scene scorrono in parallelo, e così ricorre anche il trash televisivo che deforma i rapporti e i legami per spettacoli dove le lacrime sono il carburante principale, se non proprio l’unico. Un’ossessione che spinge Riccardo alias Valerio Valentini a chiedersi: “Mi chiedo spesso cosa spinga le persone a denudarsi pubblicamente: la disperazione, il narcisismo o forse quei quindici minuti di notorietà di cui parlava Andy Warhol”. Una domanda più che legittima nel contesto di Ci sono molti modi che è frutto di una scarna antropologia della decadenza, dove l’ambiente è soltanto un riflesso di un’esistenza arenata: “Ho cercato di conformarmi al resto del mondo, mi sono sforzato, ho trovato una donna e provato a gustarmi una vita normale, ma una volta aperto, una volta che l’altra persona ha scoperto il vero me, altro non ho potuto che tornare a essere un solitario che cerca ancora in sé una via che non troverà mai”. L’ammissione contiene i germi di sviluppi futuri perché se “è il confronto con il resto del mondo che ci sfinisce”, Ci sono molti modi è un romanzo non edulcorato, grezzo e anarcoide, con il coraggio e la volontà di raccontare le periferie dell’anima.

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