lunedì 11 gennaio 2021

Michele Anelli, Gianni Lucini

In Festa di nozze, John Berger scriveva che la musica è nata “da un ululato di lamento per una perdita. L’ululato si è poi trasformato in una preghiera e dalla speranza contenuta nella preghiera è nata la musica, che però non può mai dimenticare la sua origine. In essa, perdita e speranza vanno sempre in coppia”. Questa convivenza è l’elemento di continuità dei racconti di Michele Anelli e Gianni Lucini collezionati in Ho sparato al domani. È dichiaratamente la musica il collante: gli ascolti più eclettici di Gianni Lucini fanno da contraltare a quelli più uniformi (e tendenti con convinzione al rock’n’roll) di Michele Anelli, ma la distinzione è relativa. Il senso della coabitazione è proprio nell’approccio comune, che viene descritto così: “La musica abita dove la lasci entrare e casa nostra, in questo senso, è senza porte e finestre. In ogni pagina c’è una canzone che fa parte di una colonna sonora con la quale condividere il nostro tempo, anche con musiche differenti, ma in fondo il rock’n’roll si basa proprio sulla diversità delle emozioni. Non esiste una regola, come non ne esiste una per scrivere, appunto, di emozioni”. Si intravede una sorta di dialogo, certamente non formale, ma comunque una comunicazione tra due differenti generazioni che si ritrovano nella musica, e nella scrittura. L’alternanza funziona e permette ai sette racconti di Ho sparato al domani di trovarsi uno spazio singolare e comune, all’interno di un continuum tra gli sbalzi temporali. Alla storia d’amore (platonico) e di iniziazione che passa attraverso il bianco e nero di The River e di London Calling,  in Resta libero, si riflette l’involuzione di un musicista in Ho sparato al futuro, dove all’entusiasmo iniziale dei dilettanti subentrano il professionismo e la noia che conducono al drastico finale. I due racconti centrali sono disposti secondo una particolare simmetria: 2-4-6-8 Non è mai troppo tardi di Michele Anelli è l’apologia di una passione che si riflette in Calci a un pollo surgelato di Gianni Lucini. Per una curiosa legge del contrappasso, il racconto di Gianni Lucini va in direzione opposta rispetto a quello di Michele Anelli e punta verso il passato prossimo, quello del movimento, della “musica ribelle”, evidente nella ricostruzione del festival al Parco Lambro in Calci a un pollo surgelato (il titolo è tratto da un verso di Finardi). Qui c’è un passato utopico e la funzione della musica diventa una sorta di corrispondenza, un codice di comunicazione, come dice il protagonista del racconto: “Lascia stare gli storici. Noi inguaribili romantici più che i polli surgelati presi a calci portiamo nel cuore e nella memoria la musica, i profumi, gli odori, e i sapori di quelle intense giornate ma si sa che le emozioni non hanno un gran peso nella stesura degli storici. E ora lasciami tranquillo che magari mi riaddormento e sogno ancora di essere in treno. Sono curioso di vedere come va a finire quel sogno...”, e la postilla ha il sapore di un passaggio del testimone, che comprende anche l’idea di “ascoltare la musica e farsi sostanzialmente i fatti propri”. È la dimensione più individuale, evocativa e riflessiva dei racconti di Michele Anelli, in cui il futuro di Gianni Lucini diventa il presente distopico di La musica non finisce e della sua coda I viaggiatori. Resta la sensazione di volerne sapere di più, di capire dove può portare ancora la musica, che ha il potere di deformare il tempo, di lisciarlo e di dilatarlo, ma qui entrano in gioco altri nodi e altre connessioni. Vista la sua dedizione alla fantascienza, il fantasma di Jimi Hendrix evocato in La vita è più rapida di un battito di ciglia, pare introdurre i paesaggi ballardiani di Michele Anelli, dove la musica, in un futuro etereo e nebbioso, torna a essere un mistero, o un miraggio: chissà, forse per scoprirlo servirà un secondo volume o una versione deluxe di Ho sparato al domani.

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