lunedì 2 novembre 2020

Claudio Magris

Le testimonianze che raccoglie L’infinito viaggiare si dipanano in un arco tra il 1981 e il 2004. Claudio Magris si divide tra lo spazio mitteleuropeo, ma anche il Vietnam, i paesi scandinavi, l’Iran, Berlino. L’identità del viaggiatore si forma nello sguardo e si trasforma nel corso del viaggio perché “chi viaggia è sempre un randagio, uno straniero, un ospite; dorme in stanze che prima e dopo di lui albergano sconosciuti, non possiede il guanciale su cui posa il capo né il tetto che lo ripara. E così comprende che non si può mai veramente possedere una casa, uno spazio ritagliato nell’infinito dell’universo, ma solo sostarvi, per una notte o per tutta la vita, con rispetto e gratitudine. Non per nulla il viaggio è anzitutto un  ritorno e insegna ad abitare più liberamente, più poeticamente la propria casa”. Con la consueta attenzione, L’infinito viaggiare mette anche un punto ai luoghi comuni e all’enfasi attribuita al viaggio in tempi recenti. Secondo il parere di Claudio Magris, “il viaggio è anche una benevola noia, una protettrice insignificanza. L’avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa; è là che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e dare felicità, di crescere con coraggio o rattrappirsi nella paura; è là che ci si mette a rischio. La casa non è un idillio; è lo spazio dell’esistenza concreta e dunque esposta al conflitto, al malinteso, all’errore, alla sopraffazione e all’aridità, al naufragio”. Ecco allora che “andare in giro per il mondo vuol dire pure riposarsi dall’intensità domestica”, e sfidare i confini, l’ignoto con uno spiccato senso dell’avventura e un’indomita curiosità e con la consapevolezza che “se ci si sente estranei o stranieri, non è per la sensazione di essere uomini che s’avventurano in un paese di nebbia, ma piuttosto per la sensazione di essere noi creature di nebbia o giochi di ombre che camminano fra persone vive, un po’ più minacciate dalla morte di quanto lo siamo noi, ma vive”. Claudio Magris si sofferma a più riprese sulle dimensioni concettuali del viaggio e avverte che “muovendosi avanti e indietro nello spazio, senza seguire percorsi obbligati e affidandosi alla digressione più che alla linea retta, il viaggiatore per qualche breve momento sospende il tempo, lo tiene un po’ in scacco come il giocoliere che lancia e lascia per qualche attimo sospesi in aria i suoi bastoncini, anche se sa che, prima o poi, gli cadranno tutti sulla testa”. È proprio in quel momento, transitorio ed effimero finché si vuole, ma a suo modo definitivo, che Claudio Magris identifica l’intersezione fondamentale tra passaggio e paesaggio, tra tempo e spazio che definisce puntualmente così: “Beninteso, questa sensazione dell’irrealtà della storia, che è invece fatta di carne e ossa, di lacrime e sangue, di individui concreti e delle fedi concrete per le quali essi hanno combattuto, sono vissuti e sono morti, è una tentazione intellettuale e morale, un’ingannevole seduzione degli ingranaggi e dei meccanismi sociali, che tendono a distogliere gli uomini dalle domande sul loro significato e dalla fiducia di poterli mutare. L’odissea del disincanto, il nostro viaggio quotidiano nella realtà, si gioca tutta nella capacità di resistere a queste sirene del disincanto, di ascoltare senza turarsi le orecchie la loro canzone e riconoscere anche quanto c’è di vero in essa, quali aspetti della nostra stagione storica essa ci dice e ci svela, ma senza cedere supinamente alla sua lusinga, senza credere che quella verità sia definitiva e totale, che non esistano più le cose e le domande ultime”. A quel punto, L’infinito viaggiare di Claudio Magris diventa anche un punto di vista sulla storia, oltre che sulla geografia, anche se non perde l’occasione di ribadire che “il viaggio più affascinante è un ritorno, un’odissea, e i luoghi del percorso consueto, i microcosmi quotidiani attraversati da tanti anni, sono una sfida ulissiaca”. Con il passo e il ritmo determinato dai luoghi, la riduzione in parole diventa a sua volta una peripezia imprevedibile e allora bisogna convincersi, come dice Claudio Magris, che la letteratura “è anche trasloco” ed è per quello che L’infinito viaggiare è perfetto sia nella valigia che sul comodino.

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