Con l’accuratezza che distingue Le biciclette bianche, Joe Boyd si chiedeva: “La musica di Nick, come i critici spesso affermano, è eterna? O si è sganciata dal suo tempo perché non è riuscita a legarsi con il pubblico quando fu pubblicata? La musica di Nick non fu mai una colonna sonora dei ricordi dei genitori, quindi il pubblico moderno è libero di farne la propria”. La risposta è molto parziale, anche se contiene il nucleo essenziale dell’affascinante enigma che è la musica di Nick Drake. Ennio Speranza, musicologo, drammaturgo e sceneggiatore, consapevole che “ogni scrittura, a ben vedere, è riassunto”, ha deciso di concentrarsi su un unico album, Pink Moon, come esemplare di “una disgregazione” destinata a diventare un classico. La definizione affiora dalla considerazione di Ennio Speranza per cui “proprio perché apparentemente fuori da un tempo infinito e da uno spazio circoscritto, sebbene musicalmente e testualmente vi siano delle coordinate che sottilmente le qualificano, proprio perché allo stesso modo sgretolate e coese e apparentemente specchio di una crisi messa in scena e in divenire, sebbene bloccata in una registrazione, le canzoni di Pink Moon più di altre appartengono, o sembrano appartenere, a un costante, continuo presente che, guarda caso, è anche soprattutto il nostro”. Il processo di comprensione di Pink Moon appare sterminato, ma Ennio Speranza, supportato da una florida scrittura, ha organizzato un rete di sicurezza a un minuzioso approfondimento, canzone per canzone (con tanto di analisi strumentale), che però ha uno sviluppo molto lineare e metodico. A scanso di equivoci, evita di inoltrarsi nelle pieghe dell’esistenza di Nick Drake, un po’ perché altri si sono già cimentati con assiduità, e un po’ sapendo “che la biografia, e anche l’autobiografia se proprio vogliamo, ci raccontano le cose sino a un certo punto. Siamo scatole nere. Ogni persona lo è. Non possiamo fare altro che congetture. E queste, pur affascinanti, congetture rimangono”. Sono più che sufficienti le note introduttive a collocare i risvolti personali, poi Ennio Speranza si dedica con una convinzione ammirevole a una singolare disanima di Pink Moon che, per naturale estensione, svela che “ciò che stava veramente a cuore a Nick Drake era il dettaglio, il fremito, la vibrazione, il come sul cosa, anche perché, a pensarci bene, in qualsiasi manifestazione artistica, il come determina il cosa”. La dissertazione segue proprio questo alternarsi: l’analisi del come (le accordature aperte, i passaggi armonici, i toni della chitarra e della voce) si sposta e si sovrappone al racconto del cosa (i desideri, i sogni, i dolori e ogni singola atmosfera emanata da ogni singolo brano) arrivando alla conclusione, in qualche modo definitiva, che “Nick (Drake) si sofferma sugli argomenti, sulle cose, sulle parole, sulle immagini, sulle metafore, sempre quelle, sempre rimuginate, magari ripetute enfatizzate o replicate canzone dopo canzone, sentimento dopo sentimento, assomigliando sempre più a un meditante che osserva i propri pensieri e le proprie ossessioni, cercando a un tempo di accoglierle per liberarsene e non riuscendovi mai fino in fondo”. Il quadro è completo ed è uno invito a riscoprire Nick Drake a cui non si può rinunciare, anche perché, come diceva Robyn Hitchcock, “le sue canzoni sono andate alla deriva per vent’anni e poi sono sbarcate nel futuro”. È incredibile, ma come ha ben capito Ennio Speranza, è andata proprio così.
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