venerdì 7 settembre 2018

Andrea Staid

I dannati della metropoli è frutto di quella che gli antropologi chiamano “osservazione partecipante”, un metodo empirico che porta l’osservatore a diventare “un catalizzatore della comunicazione, capace di stimolare l’espressione delle percezioni, esigenze, aspettative e fantasie degli osservati”. È quello che ha fatto Andrea Staid scendendo a compromessi con quella che che Philipp Bourgois chiama “cultura di strada” per scoprire le vite ai margini e i rituali della resistenza dei migranti dentro la città, e nello specifico, Milano. Un lavoro fatto di analisi, ricostruzioni, valutazioni e, più di tutto, di interviste, come se Andrea Staid avesse seguito l’indicazione di John Berger quando diceva che “per provare a capire l’esperienza di un’altra persona è necessario smantellare il mondo come lo si vede dalla posizione che in esso occupiamo, e riassemblarlo come lo si vede dalla sua”. Il processo pare complesso, senza l’ausilio di un minimo sindacale di empatia, che è alla fonte del confronto con I dannati della terra. Come scrive nella prefazione Franco La Cecla: “Sono storie disperate e disperanti, ma anche storie piene di vita, dove si capisce che l’immigrato dichiarato fuorilegge a un certo punto trova una propria ridefinizione dell’esserlo. Storie di immediata disillusione, di rivolta, di voglia di vivere nonostante. L’antropologia con la sua vocazione a testimoniare è uno strumento perfetto da questo punto di vista: ci costringe a renderci conto di come la vita quotidiana altrui non sia tanto differente dalla nostra, e nei panni dei marginali potremmo tranquillamente trovarci noi”. Se all’origine c’è il viaggio, che contiene un elemento fondamentale di speranza, pur nelle le brutali condizioni con cui si sviluppa. Una frase di Nma, partito dalla Nigeria, è emblematica: “Il viaggio per lo schifo che faceva non è andato neanche male”. Andrea Staid la chiama “una libertà negativa” e la definizione ha una sua importanza: arrivati in Europa, le frontiere imposte con la violenza,  la detenzione, i ghetti, sono soltanto le conseguenze di leggi che tendono a militarizzare i flussi.  Se è vero, come è vero che “è la strutturazione normativa a produrre, per il migrante, uno status giuridico notevolmente precario”, lo è perché “le nostre società hanno bisogno di agitare lo spettro dei nuovi barbari per ottenere due effetti significativi: da un lato la criminalizzazione dei migranti che consente di sostituire le politiche sociali con quelle penali e di controllo, dall’altro consente nel dibattito pubblico di trasformare il concetto di sicurezza sociale come la priorità da affrontare”. A quel punto  la metropoli dei dannati diventa “asimmetrica” e si sdoppia: “la città legittima pronuncia parola di paura e sospetto verso quella illegittima, ma ricorre a quest’ultima per un gran numero di servizi e prestazioni: dal lavoro domestico a quello in nero dei cantieri, dalla domanda dei vari tipi di prostituzione a quella di stupefacenti, gioco d’azzardo o credito illegale. La città illegittima è titolare di un’offerta di servizi la cui clientela è costituita in gran parte da membri della società illegittima”. Nella difficile, ma inevitabile convivenza, I dannati della metropoli “ci aiutano a capire meglio la contemporaneità, a vivere l’alterità attraverso l’incontro; non voglio affermare che sia semplice, molto spesso questo incontro è fatto di liti, rabbia, insoddisfazione e non sopportazione, ma l’importante è vivere l’alterità più che analizzarla”. Per trovare il luogo ideale a provarci Andrea Staid non è dovuto andare lontano, tanto è vero che ha dedicato l’ultima parte del libro all’enclave di viale Bligny 42 nel pieno centro di Milano, zona porta Romana, una realtà cosmopolita complessa e uno spettro di emozioni tutto da decifrare, un traballante laboratorio dove sperimentare “una tolleranza esperita, vissuta ogni giorno, nelle città, costruita strada per strada, sui luoghi di lavoro e di lotta, con la consapevolezza che non esistono libertà regalate ma solo libertà costruite e conquistate”. A dispetto dei luoghi comuni e delle banalità assortite, non ci sono molte altre alternative.

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