Parlare di Bono è parlare degli U2. Le due realtà, va da sé, sono inseparabili e la biografia di Loris Cantarelli è affettuosa e dettagliatissima, ma non nasconde neanche i lati più controversi, soprattutto nell’evoluzione da Achtung Baby in poi. Nella linearità del suo racconto Loris Cantarelli racconta gli U2 senza enfasi, sottolineando molti aspetti che il più delle volte passano in secondo piano (l’organizzazione economica, i legami famigliari, le questioni tecnologiche) e dando l’impressione, tutto sommato, di uno sguardo ravvicinato e scrupoloso. Tutto parte da lontano: crescere nell’Irlanda divisa e impaurita, con i Troubles all’orizzonte non è stato per niente facile. Ricorda l’amico e consigliere di sempre Gavin Friday: “Allora l’Irlanda era molto differente, era tutto proibito... E con Bono abbiamo creato il nostro mondo immaginario, come reazione”. È soltanto l’inizio di una ragnatela di amicizie che si incroceranno grazie all’annuncio di Larry Mullen, il futuro batterista degli U2, in cerca di compagni per le sue avventure musicali. Si racconta che Bono fosse arrivato con la pretesa di occupare il posto di chitarra solista, poi fosse stato declassato a quella ritmica e, infine, rimandato alla funzione di manager. “Quando inizi in una band è tutto un mistero” sostiene il diretto interessato (che poi, come è noto, si è accomodato nel ruolo di frontman) e le tappe forzate verso il successo sono una piccola saga di sacrificio e ambizione nello stesso tempo. La musica, per il momento è ancora al centro dell’attenzione e Loris Cantarelli rileva bene i passaggi tra Boy e October e tra War e The Unforgettable Fire, notando quest’ultimo giustamente come uno degli apici degli U2, e arricchendo la cronaca di molte dichiarazioni degli stessi protagonisti, compreso The Edge che, all’epoca di The Joshua Tree, disse: “La musica gospel mi ha fortemente toccato perché è esattamente l’opposto di quanto costituisce la musica moderna. Oggi la musica è un nascondersi, è tutto posa e immagine. Il gospel per me è abbandono totale, cioè l’inizio dell’anima”. La dichiarazione del chitarrista è ambivalente e vista in prospettiva dice molto di quello che gli U2 sono diventati da lì in poi. La ricostruzione di Loris Cantarelli è minuziosa e preziosa, capace di assecondare la sfumatura tra Bono e gli U2 e di ripercorrerla giorno per giorno: lo schema del racconto segue una collocazione cronologica piuttosto rigorosa, anche per tenere conto dei radicali cambiamenti che li hanno distinti dal turning point di Achtung Baby. Una volontà ferrea e coraggiosa (come dice Bono: “Vedo gli U2 solo come una lunga lista di fallimenti: le canzoni che non abbiamo scritto e i concerti che non abbiamo suonato”) che non sempre ha trovato le risposte giuste. Ma forse è anche il mondo intorno che è cambiato, come notava Bono: “Ho la sensazione che l’11 settembre abbia cambiato l’America per sempre. Prima pensavo fosse un continente che si comportava come un’isola. Ora penso sia chiaro che non può essere un’isola di prosperità in un mare di disperazione. E se l’11 settembre ci ha insegnato qualcosa, è che il mondo è un luogo molto più interdipendente e interconnesso”. Questo sarà particolarmente vero per gli U2 che amplieranno il loro raggio d’azione trasformando una piccola rock’n’roll band irlandese in una sorta di industria globale. Loris Cantarelli, per quanto fan di lunga data del gruppo irlandese, non manca di sottolineare le contraddizioni che hanno distinto gli U2 negli ultimi anni e, in parte, anche l’attività filantropica di Bono. C’è spazio infatti anche per le controversie fiscali, per i rapporti (non del tutto privi di ambiguità) con le multinazionali tecnologiche (Apple, in primis) e per la fatidica immagine di Bono a passeggio con Bush (che non si può vedere) che, in tutta sincerità, ha almeno il coraggio di dire: “A volte l’idea che viene fuori è che io sono entrato negli U2 per salvare il mondo. Io sono entrato negli U2 per salvare me stesso” e, a ben guardare, è la sua miglior definizione possibile.