L’estate del 1979 comincia il 4 maggio quando la Thatcher viene eletta primo ministro. È il primo e definitivo segnale che il mondo occidentale è avviato a una rapida metamorfosi, a senso unico e senza possibilità di tornare indietro. Qualche settimana dopo, Paolo appena superata la maturità parte dalla Sicilia per il Friuli e si trova in a un campo di giovani comunisti, dove la disillusione aleggia nell’aria, tra la nostalgia dei vecchi partigiani e l’incombere feroce della lotta armata, che all’inizio dell’anno aveva colpito Guido Rossa, una svolta tanto netta quanto brutale. Paolo e i suoi amici, convinti che “una volta la vita è tragedia, un’altra miracolo, ma questo non vuol dire che non ci sia una vita”, sciolgono in anticipo i nodi dell’ideologia e si ritrovano a confrontarsi con le incombenze dell’esistenza che, incuranti della storia, della politica, della religione e della letteratura, restano lì, immobili, pesanti e inarrivabili come l’ombra dell’Etna che si stende lungo tutto L’accordo. Ben sapendo che, come diceva Schopenauer “conosciamo la vita prima tramite la poesia che tramite la realtà”, nel suo esordio Paolo Scardanelli genera un prisma mutevole attraverso il quale filtrano appunti filosofici (parecchi), un flusso di coscienza fatto di memorie e riflessioni, e un’Italia vista dentro un lente d’ingrandimento caleidoscopica che, alla fine, ce la fa vedere per quello che è. Una somma di delusioni, di limiti e di rimpianti aggrovigliati attorno ad alcuni capisaldi inamovibili (la famiglia, il lavoro, le tradizioni), ma non per questo così solidi. La visione di Scardanelli sorvola e supera le considerazioni sociologiche, che comunque sono evidenti, e pur con un sommo gusto per la dissertazione (e la divagazione) riporta tutto alla condizione transitoria dei suoi protagonisti, che ammettono senza omissioni: “Siamo figli dell’usura; il tempo deve segnare noi e gli oggetti che ci sono intorno perché siano attivi, abbiano vita e senso per noi. E lì, nella fiamma del contatto, comincia già il decadimento; è un costante braccio di ferro tra obbligo d’andare avanti e nostalgia di un perduto che non è mai stato”. Il personaggio su cui si riflette Paolo è l’amico Andrea Algino, simbolo a suo modo degli imperativi economici e del nuovo che avanzava senza incontrare resistenze. Per lui il cambiamento ha radici antiche, visto che si ritrova dietro una scrivania dell’azienda guidata dal padre e così bisogna ammettere che “siamo costretti all’azione, ad agire su di un terreno paludoso, col rischio continuo di sprofondare nella sabbie mobili. E ogni nostra mossa ci conduce inevitabilmente al fallimento”. Attorno agli Algino, L’accordo prende una piega più cupa, comprensiva di un assassinio che però non insegue i consunti cliché polizieschi, ma assume un carattere simbolico e riporta al nucleo della storia, dove pulsa in continuazione una domanda: “Che senso può avere un minuscolo ma intensissimo dolore in uno spazio sterminato, apparentemente infinito?”. Per Paolo e gli amici distribuiti alle estremità della penisola e disturbati dalle evenienze della realtà non resta che schivare le interferenze di un mondo che sta scomparendo, chiudendo “la porta senza far rumore, svanendo in un remoto punto d’osservazione, oltre la stratosfera”. La scrittura florida e ipersensibile di Paolo Scardanelli affronta il “mestiere di vivere” e allora va ricordato che Pavese diceva che “la poesia nasce non dall’our life’s work, dalla normalità delle nostre occupazioni, ma dagli istanti in cui leviamo il capo e scopriamo con stupore la vita”, ma alla fine di quella lunga estate non c’è più tempo, nemmeno per la buona sorte. Quello che sopravvive è specificato con estrema decisione ed è persino parte integrante del titolo, così come viene espresso da Paolo Scardanelli: “L’elezione. Senz’altro ci unisce. La comunità del sentire elegge persone differenti per provenienza, estrazione, esperienze. Come la vita ci sembra debba essere ci collega in un ipotetico cerchio magico cui sino a oggi solo la musica ha saputo dare risposta collettiva”. Questo è senza dubbio molto chiaro nella playlist che L’accordo lascia scorrere nelle sue pagine: si trovano Brian Eno, Tom Waits, Vashti Bunyan, Jimi Hendrix, Mike Bloomfield, Walk On By nella versione di Isaac Hayes e poi in quella originale di Burt Bacharach, e infine Jeff Buckley, ma ormai siamo nel 1997 e tutto è ormai un ricordo, o un sogno che torna a galla.
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