Storicamente, il blues è nato in un momento crepuscolare in cui alcune magie, religioni e culture hanno trovato una nuova forma. Un passaggio che ha visto anche tradizioni di consuetudini e di folklore diventare canzoni, proprietà pubblica e mutevole, materiale di lavoro, di suono e d’amore per quanto contrastato e faticoso. La sintesi, senza dubbio un “prodotto” sociale e culturale straordinario, non ha portato soltanto alla genesi di una suono che è poi stata la fonte primaria di una larga parte della musica occidentale, ma anche alla creazione di uno slang che, di secolo in secolo, si è trasformato in un vero e proprio linguaggio. Fabrizio Poggi con un lavoro certosino di ricerca e di assemblaggio ha ricostruito l’idioma degli Angeli perduti del Mississippi, vocabolo per vocabolo, frase per frase, titolo per titolo e personaggio per personaggio, allineando le Storie e leggende del blues un po’ per comodità e un po’ per le logiche stringenti di un dizionario in ordine alfabetico. La schematicità della disposizione non ha pesato sull’interpretazione di Fabrizio Poggi così come non influisce sulla lettura. Angeli perduti del Mississippi si può prendere dall’inizio alla fine leggendolo come un romanzo dove si intrecciano racconti di demoni e chitarristi, di fantasmi e radici, di uno o più Delta e nomi di bluesmen che evocano gesta epiche: Robert Johnson, Blind Lemon Jefferson, Slim Harpo, Lightnin’ Hopkins, Elmore James e Bob Dylan. Sì, perché alla voce Dylan, Bob è dedicato un ampio ritratto, come non potrebbe essere diversamente perché pur non avendo scritto “bluesman” sulla sua carta d’identità è uno snodo fondamentale che Fabrizio Poggi non poteva evitare. In un altro senso, Angeli perduti del Mississippi si può leggere come un manuale linguistico, colto e approfondito, il cui tenore non ha assolutamente nulla da invidiare a uno studio universitario, ma che a differenza di tanti tomi pieni di note a piè di pagina, scorre senza esitazioni sulle onde di una passione che Fabrizio Poggi conosce dal vivo, per via di una lunga e fruttuosa frequentazione. Avvicinatosi giovanissimo (è nato nel 1958) al mondo della musica, trova il suo strumento d’elezione nell’armonica a bocca, uno degli aggeggi fondamentali del blues, di cui diventa uno dei più noti solisti italiani. Con la sua band, Chicken Mambo, e altre formazioni incide una ventina di album, molti dei quali prodotti e registrati negli Stati Uniti, paese che ha ben conosciuto grazie a numerosi viaggi, soprattutto negli stati del Sud. Questo per dire che è un libro “cool”, già ma cosa vuol dire “cool”? C come “cool”, e per tutti gli Angeli perduti del Mississippi, Fabrizio Poggi richiama (a ragione veduta) Amiri Baraka alias LeRoi Jones: “Il termine cool significa avere un rapporto speciale con tutto ciò che ti circonda. Essere cool vuol dire continuare ad avere un atteggiamento positivo anche di fronte all’orrore che la vita ogni giorno ci propina”. Citazione appropriata perché Angeli perduti del Mississippi è davvero frutto di un “rapporto speciale” con il blues. Un glossario, studiato parola per parola, biografia per biografia, da Bill Abel a Ike Zinnerman, diventa una lunga e appassionata cavalcata alle origini della grammatica e di ogni singolo rituale del blues, dalle accordature aperte alle aperture ad altre musiche perché “chi non ama il blues ha un buco nell’anima”. Tenetelo a portata di mano.
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