In Confessin’ The Blues, Luciano Federighi un navigatore di lungo corso, ascolta le grandi voci del blues e del jazz cantare e, seguendole negli incontri, osserva gli sviluppi della musica nelle città. Da Los Angeles, che “sfugge perennemente allo sguardo, sorniona, informe, maliziosa, traditrice a San Francisco, dove, annota Luciano Federighi, “la realtà non abita i suoi marciapiedi, o meglio non li abita la realtà che conosciamo e che ci conforta” fino Las Vegas (“C’è genialità e potenza nell’orrore di questo strano, dilatato avamposto del mondo civile, in questo debordante fortino lambito dal niente”) è una ricerca assidua che coinvolge un moltitudine di cantanti: da Mike Henderson e Bill Henderson fino a Dee Dee Bridgewater, Luciano Federighi ricostruisce le interviste con una scrittura florida, rispettosa e discreta nei confronti degli interlocutori, ma approfondita nei temi e le adorna di una congrua dose di consigli discografici, e in quello Confessin’ The Blues si rivela una vera e propria miniera inesauribile. Gli aneddoti si sprecano, da Esther Phillips con una mazza da baseball a una rocambolesca e comica intervista telefonica con Etta Jones, eppure il cuore dei tête-à-tête restano le canzoni, la musica, le interpretazioni, le radici e se, come dice Johnny Otis, “quello delle influenze è sempre un gioco complicato da dipanare, un aspetto della tua evoluzione personale che è arduo sondare”, Luciano Federighi trova comunque il modo di chiedere conto di passioni e punti di riferimento e le personalità che emergono sono Dinah Washington, Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan e, più di tutti, Billie Holiday. C’è spazio anche per ricordare altri grandi protagonisti e i nomi che ricorrono spesso sono quelli di Art Tatum, Cole Porter, Bill Evans, Frank Sinatra, Gene Krupa, Buddy Rich, Bill Evans e altri raffinati accompagnatori attenti a ogni singola sfumatura delle melodie, delle parole e degli umori degli interpreti. Per loro vale l’apologia che Luciano Federighi raccoglie parlando con Tony Bennett: “Troppe persone non si rendono conto del livello artistico straordinario che possono raggiungere gli strumentisti che improvvisano, i musicisti di jazz. Sono individui perlopiù estremamente dediti alla loro arte, capaci di lavorare duramente sul loro strumento. E ti insegnano anche a vivere; spesso i musicisti di jazz meritano di essere ascoltati, perché sono dei grandi filosofi, che compenetrano una visione lucida della vita con un loro peculiare romanticismo, la loro intensità di feeling”. Luciano Federighi dedica molta attenzione ai molteplici aspetti della vocalità (dalle prestazioni tecniche alla qualità dello svolgimento delle parole fino alla postura sul palco) anche se poi, in definitiva, ha ragione Little Jimmy Scott, quando dice: “Per me è tutta musica, e i sentimenti che canto non hanno confini”. Su questo Confessin’ The Blues è allineato e attraverso le voci e soprattutto il feeling di Mark Murphy, Carmen McRae, Pony Poindexter, Johnny Adams, Meredith d’Ambrosio, Bobby McFerrin, Betty Carter, Ray Bryant, Houston Person, Anita O’Day, Cassandra Wilson, Jackie Allen, Kevin Mahogany prende forma un’idea “lirico-musicale” della canzone in sé dalle origini blues fino a Broadway, Hollywood e Tin Pan Alley, ovvero una sontuosa saga americana. Per quanto eterogenea, la provenienza degli articoli e degli aggiornamenti non impedisce a Confessin’ The Blues di avere una continuità, una coerenza e una sua logica nel dipanare la natura della voce all’interno di musica di gran classe, ma più di tutto si snoda come una lunga, intensa celebrazione per “il jazz, la libertà creativa”, che comincia, curiosamente, con il sogno di un’intervista a Etta James. Ci voleva.
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