“Se avete fame guardate lontano” è l’imperativo che spinge interi popoli a sfidare gli elementi in cerca di un habitat di cui sono stati privati. Lontano potrebbe essere anche molto vicino e allora, questa raccolta di righe che vanno troppo spesso a capo, come lo stesso Erri De Luca definisce le sue poesie nel sottotitolo di Sola andata, comincia con una breve, incisiva ed esplicativa Nota di geografia per delineare le coordinate del Mare nostrum: “Le coste del Mediterraneo si dividono in due, di partenza e di arrivo, però senza pareggio: più spiagge e più notti d’imbarco, di quelle di sbarco, toccano Italia meno vite, di quante salirono a bordo. A sparigliare il conto la sventura, e noi, parte di essa. Eppure Italia è una parola aperta, piena d’aria”. Nella prima parte c’è la cronaca, la storia dei viaggi dai deserti dell’Africa alle coste dell’Italia: popoli che vanno a piedi e finiscono sul mare e poi vengono rimessi sugli aerei anche se “potete respingere, non riportare indietro, è cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata”. Erri De Luca leviga le parole, ne segue il ritmo con dolcezza, ma non nasconde nulla dell’esodo degli “innumerevoli” mischiando acqua di mare, sale, sole e sangue nelle stesse righe. Prima di diventare un titolo a suo modo lapidario e indiscutibile, “solo andata” è un refrain che riecheggia tappa dopo tappa dell’esodo che, dalle sabbie del Sahara a quelle delle spiagge italiane, passando per il Mediterraneo, diventa ben presto una brutale tragedia e si lascia alle spalle ogni tentativo di cercare un ultimo approdo. Eppure sull’onda delle anime migranti, nello scoprire l’altro che, in balia delle correnti non meno che di titubanti governi, affronta il mare aperto e pur di non abbandonare la speranza è disposto all’estremo sacrificio di perdere la vita, Erri De Luca riesce a riconoscersi e lascia filtrare una sottile luce di umanità. Debole, sfocata, calante sull’orizzonte, ma vivida, e non ancora affogata nella retorica. Nella parte finale di Solo andata, dato che “un libro di poesie è una città", esplora anche altri quartieri ma non dimentica nemmeno per un attimo gli anni che stiamo vivendo (“In guerra le parole dei poeti proteggono la vita, insieme alle preghiere di una madre”) e quando, infine, arriva a Casa è per una sorta di personalissima confessione: “Dietro la curva la ritrovo, ancora c’è, la casa, non crollata, bruciata. È vecchia più di me, la rinnovai quand’ero anch’io nel tempo del rinnovo. Crollasse non mi morderei le mani e non imprecherei di stare senza. Sono in tempo a viandare, bagaglio scarso ribussare a porte, non possedere chiavi. Devo questo alle storie, di bastarmi, pur’io bastare a loro. Con lapis e quaderno posso scrivere pure quando gela l’inchiostro nella penna. È stata la porzione a me assegnata, eredità che non si può ricevere e lasciare. Di questo sono fatto, di pagine sfogliate e poi risposte”. Con una conclusione che è quasi una profezia perché è questo che chiedono i tempi ed è questo che concedono le poesie di Erri De Luca: “L’umanità sarà poca, meticcia, zingara e andrà a piedi. Avrà per bottino la vita, la più grande ricchezza da trasmettere ai figli”. Poesia poesia civile, illuminante e toccante, e quanto mai attuale.
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