L’ascesa e la caduta di una delle figure più emblematiche del ventesimo secolo riletta attraverso l’ottica dell’iconografia pop: Ronald Reagan, un personaggio nato e cresciuto attraverso il cinema e la televisione, diventa il presidente degli Stati Uniti d’America e impone un nuovo modello di comunicazione e di politica, ormai diventati degli standard non privi di contraddizioni e con parecchi lati oscuri ancora irrisolti. Ormai consegnato alla storia da un funerale che ha riunito l’America con tutta la prosopopea e la retorica possibili, Ronald Reagan è stato senza ombra di dubbio uno dei personaggi che più hanno inciso nelle vicende del ventesimo secolo. La sua metamorfosi, da uomo di spettacolo a navigato politico, ha ancora oggi dell’incredibile se non si conosce una delle fonti primarie su cui si basa la cultura e la vita americana: “L’America non respinge il passato, o ciò che il passato ha prodotto nelle sue varie forme, o tra altre politiche, l’idea di casta o le vecchie religioni, accetta la lezione con calma, non è impaziente perché i ritardatari restano fedeli a certe opinioni e mode letterarie, mentre la vita che serviva di base a esse si è trasformata nella nuova vita delle forme nuove” scriveva Walt Whitman e Ronald Reagan ha incarnato alla perfezione quello spirito capace di coniugare la tradizione con l’inevitabile necessità di un futuro, l’orgoglio di un’intera nazione con la disintegrazione di uno stato, il bisogno collettivo di riconoscersi in un patria con l’urgenza spicciola del common man, di essere riconosciuto come individuo, con i suoi diritti e con le sue libertà e soprattutto con la propria solitudine. Memorabile la citazione, tra le tante raccolte da Fabio Cerbone, dell’ineffabile arte oratoria di Ronald Reagan: “Sedersi sperando che un giorno, in qualche modo, qualcuno aggiusti le cose, è come sfamare un coccodrillo pregando che ti mangi per ultimo, ma alla fine ti mangerà”. C’è tutta la storia dell’America nei suoi “glory days” in questa frase e il ritratto organizzato da Fabio Cerbone è molto equilibrato nel raccontare il contesto in cui le forme politiche ed economiche promosse da Ronald Reagan hanno preso forma (e ricordando sempre che “La recessione è quando un vicino perde un lavoro. La depressione quando perdi il tuo”), citando senza esitazioni produzioni discografiche (molto interessante e preciso il parallelo con Madonna) e cinematografiche che hanno contribuito a costruire l’immaginario vincente e volitivo dell’America di quegli anni. Il racconto è scorrevole e puntuale, mai troppo schierato e polemico, anche in casi piuttosto eclatanti come gli affari sporchi disseminati in mezzo mondo dagli accoliti reaganiani o l’imperversare delle soluzioni belliche a ogni occasione. Forse è giusto così, nell’idea di rendere chiara una figura tanto complessa, tanto poi ci pensa Hunter S. Thompson a chiarire il concetto, nel caso fosse necessario: “Ronald Reagan è il prototipo del nuovo americano mitologico, una puttana ridacchiante che probabilmente un giorno sarà presidente”. I succedanei non tarderanno a confermarlo, compreso l’ultimo in ordine d’arrivo: con molti anni d’anticipo, il Doc aveva già capito come sarebbe andata a finire.
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