La forma autobiografica ha un valore particolare se si asseconda quell’idea di Cesare Pavese, uno dei punti di riferimento più importanti per Roberto Gramiccia, per cui “succede questo fatto curioso: noi viviamo l’esser nostro più autentico quando ancora non sappiamo ammirare, cioè cogliere quel che ci accade. Le prime occhiate consapevoli le gettiamo su uno schema che ci viene dagli altri, dall’esterno; l’idea stessa di occhiata è qualcosa che accettiamo, che imitiamo dagli altri”. La notte più buia di sguardi ne registra parecchi, non tutti innocenti, ma sempre appassionati: Gramiccia è un osservatore acuto e partecipe che, pur abbondando di riferimenti culturali e filosofici che comprendono, tra gli altri, Spinoza, Platone, Leopardi, Gramsci, Camus e Tenco, si concede con naturalezza, senza la pretesa di ergersi su un piedistallo, ma piuttosto di raccontare una storia (la sua) che si avvolge attorno ai percorsi personali, all’impegno politico, alla medicina (la sua professione), all’arte e alla scrittura. Il passato, prossimo e remoto, diventa uno specchio che va oltre all’immagine riflessa e include un orizzonte molto più ampio. Le testimonianze che riportano alle “cronache di una generazione” sono fatte di aneddoti, di racconti spiccioli, di ricostruzioni che nel comporre La notte più buia, si distinguono come scrive Fabrizio Catalano nella prefazione, in “due tipi di verità: quella personale, che concerne le vicende private del protagonista, amori, rivelazioni, interessi, paure, sconforti, che suscita immediata empatia, in cui ognuno potrà riconoscere vicende parallele nella propria esistenza; e quella globale, che non fa mai da sfondo, e che sovente è l’autentico motore della narrazione”. I due aspetti non sono mai distinti, anzi si intrecciano e si sovrappongono in continuazione: gli eventi che si incuneano nell’autobiografia di Roberto Gramiccia (l’allunaggio del 1969 e il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro nel 1978, per esempio) hanno un valore speciale e in qualche modo definitivo nell’immaginario collettivo. È vero, come dice Gramiccia che “i tempi storici non sono mai quelli che vorremmo”, ma d’altra parte non si può nemmeno fuggire alla realtà. Per contrasto, La notte più buia è così affollata di piccoli e significativi particolari che si sommano uno dopo l’altro: gli espedienti dell’infanzia, i rapporti famigliari, la scoperta del sesso e dell’amore, e persino il poker. Tutto raccontato con una particolare verve che non manca di sottolineare le due passioni predominanti, la politica e l’arte. Il costante impegno politico che si fa notare anche nelle critiche (soprattutto) alla gestione del servizio sanitario nazionale e per estensione al tutto il welfare negli ultimi anni dove un concetto particolarmente caro a Gramiccia, quello della fragilità viene affrontanto con rara ed esplicita chiarezza. La dedizione per l’arte contemporanea e più in generale per la cultura affiora negli incontri con gli artisti e i protagonisti, e sono particolarmente toccanti quelli con Jannis Kounellis e Mario Monicelli, sullo sfondo costante di una città, Roma, ritratta dagli anni subito dopo la seconda guerra mondiale, con le macerie ancora per le strade, fino momenti più frenetici e sfavillanti che la rendono La notte più buia un racconto sincero e movimentato.
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