Un dattiloscritto di ottantasei pagine rimasto inedito per oltre trent’anni (in parte fotocopiato e conservato presso la Cineteca Comunale di Rimini) rivela il classico sogno rimasto nel cassetto, ma la personalità di Fellini, “un inesausto inseguitore di miti” nella definizione di Sergio Zavoli, e la natura stessa del “soggetto e trattamento cinematografico (anche per la televisione)”, come annotava lo stesso regista nell’intestazione, insistevano per trovargli una giusta collocazione. L’ambizione del particolareggiato progetto, destinato più che a un film, a uno sceneggiato di quattro ore (oggi si direbbe serie) sul modello di Novecento, era di interpretare e trasportare sullo schermo una “scelta narrativa dei miti greci, immenso patrimonio poetico della storia umana”. Un obiettivo mastodontico che trova in queste pagine una prima, essenziale bozza, forse poco più di un biglietto da visita, ma con le idee già molto chiare. La formula scelta da Fellini prevedeva un accostamento umile e rispettoso, un uso accorto degli effetti, un ritorno “al cinema della pura animazione fantastica” e un’attenzione scrupolosa all’atmosfera, già delineata con sufficiente precisione nell’incipit: “Una luce incertissima, né di giorno né di notte, completamente artificiale, perché fuori del tempo; anche il luogo è incertissimo, la cima di una montagna, sembra, o una cava franosa, tra nuvole che scorrono via; o potrebbe essere nebbia, fittissima, o fumo, od incenso di sacrifici”. Per arrivare a cogliere un senso inafferrabile, Fellini compie un minuzioso lavoro di approfondimento, colmo di letture e riletture e ricostruito nel dettaglio dalla ricercatrice e poetessa Rosita Copioli e dallo storico collaboratore del regista, Gérald Morin che, tra l’altro, ha il merito di sintetizzare così la trama rimasta incompiuta: “La storia degli dèi e delle dee dell’Olimpo si svolge con una logica insieme vitale e mortale come una valanga gigantesca che precipita lungo la montagna, trascinando tutto al suo passaggio, con tumulto e terrore, spavento e orrore. Che inizia sul sommo delle cime con l’assassinio di Urano da parte di suo figlio Crono e si conclude all’uscito del Labirinto con un Teseo vittorioso coperto del sangue del Minotauro”. Pur travolgente, Il racconto dei miti è filtrato però dalla sensibilità di Fellini che, con tutte le cautele, riesce a riportarlo in una dimensione molto umana, come annota Rosita Copioli: “Le proporzioni degli dèi, l’alterità mostruosa degli dèi, sono due aspetti del numinoso che ne L’Olimpo hanno una collocazione naturale, e offrono evidenza e giustificazione alla loro continua comparsa nell’immaginazione onirica”. Nonostante la ricchezza e la complessità dei temi trattati, o forse proprio per quello, L’Olimpo non trovò un’adeguata produzione, e rimase una splendida illusione. Fellini pensò persino di rivolgersi all’americana CBS che, all’epoca, stava esportando in Italia la serie televisiva Dallas. In prospettiva, un segno dei tempi, ma comunque troppo poco per un sognatore in cerca di luce e di allegria.
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