L’amicizia tra Hans e Max nasce dall’illuminazione per il jazz, che è “folle, e senza senso, eppure ce la fa, resta coerente”. Sono soltanto ragazzi, l’unica guerra che conoscono è quella tra una banda e l’altra, o il naturale scontro con i genitori che sentono “la musica classica, che è quella roba priva di ritmo che ascoltano gli adulti stando seduti con l’espressione di chi aspetta il suo turno dal dentista”. Max suona la tromba, Hans scova un banjo e si applica, nella speranza che prima o poi arrivi (e arriverà) una chitarra. Il legame si moltiplica in un effervescente momento di scoperta, che comprende anche i barlumi dell’amore, dato che Hans vive una passione (platonica) per la sorella di Max, Kitty. Un senso di libertà, per quanto sotterranea e sfumata, li avvolge ed è spontaneo ricordare che “non si può resistere al jazz, non puoi schiacciare la testa della gente una volta che ha sentito lo swing. Anche se sta zitta, dentro continua a battere il piede a tempo”. Questo deve essere stato uno dei motivi per cui il jazz, e lo swing nel suo epicentro, non era tollerato (per poi essere bandito) nella Germania nazista. Un articolo su un giornale locale del 1938, riportato da Mike Zwerin in Musica degenerata ammoniva: “Non abbiamo simpatia per gli sciocchi che vogliono trapiantare la musica della giungla in Germania. A Stettino, come in altre città, si può vedere la gente che balla contorcendosi come se avesse il mal di stomaco. Lo chiamano swing. Non è uno scherzo. Mi prende una gran rabbia. Quegli individui sono dei ritardati mentali. Soltanto i negri in qualche angolo della giungla pesterebbero i piedi in un modo simile. Non c’è nulla di negro nei cromosomi germanici. Bisogna fermare questo pandemonio della febbre dello swing”. Il jazz non sarà l’unico problema. Max è l’amico che tutti vorremmo avere: è perfetto, sempre in difesa dei più deboli, che conosce tutti i passaggi e che, in una parola, è sempre “cool”, ma ha un difetto: la sua famiglia è ebrea. Non solo: è benestante, colta, elegante ed educata, tanto che Hans, nel confronto, sente tutti i limiti della sua, di famiglia. L’avvento del nazismo e delle imposizioni razziste ribalta la situazione: Pierpaolo Vettori è meticoloso e molto scrupoloso nell’evidenziarne, prima di tutto, il peso tra le persone, come ha influito nei rapporti e nei legami, ancora prima che nelle dimensioni politiche. Il contrasto è fortissimo e passa attraverso la figura di Gerd, un veterano della prima guerra mondiale (fratello del padre di Hans) e personaggio che funge da cerniera storica e insieme narrativa. Fino all’avvento del nazismo, Gerd non è altri che un povero reduce in caduta libera, pieno di rancore e di rimpianti. Abbracciato il nascente partito nazista, Gerd diventa all’improvviso una persona rispettabile e sarà protagonista dell’odiosa svolta tra le due famiglie. Le conseguenze si possono immaginare con facilità, ed è quello che inevitabilmente succede in un mondo di “adulti senza swing”. Sullo sfondo, nelle pieghe di lampi e ombre della Lanterna per illusionisti, c’è un maniaco (pedofilo) con cui Hans dovrà fare i conti molto più in là nel tempo perché “il passato non è solido come pensiamo, assomiglia a una vecchia rete da pesca smagliata. Crediamo di ricordare chi siamo e cosa abbiamo fatto, ma, a ben guardare, riusciamo solo a distinguere dei percorsi tenui e sfilacciati. Il resto sono buchi enormi che non riusciamo a giustificare”. Labirintico e stratificato, affilato come un coltello a serramanico, ma armonioso come una ballata di Jimmie Lunceford, la Lanterna per illusionisti emana una luce chiarissima che non cede né alle ambiguità né alla retorica e che Pierpaolo Vettori dipana in un romanzo a immagine e somiglianza del jazz: istintivo, imprevedibile e affascinante.
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