Se si prende un sogno e lo si accosta alla piccola, complessa e bizantina realtà dell’Italia si ottiene una reazione chimica dagli effetti imprevedibili, giusto una miscela composta in parti uguali di comicità (il più delle volte, involontaria) e malinconia. È quello che succede agli amici della Flowers, una compagnia cinematografica indipendente, quando decidono di lasciare Milano per un’incognita trasferta sulla riviera ligure. Il miraggio è un film, la regia è tutta da inventare e la storia è ruspante e allegra, anche se, come dice lo stesso Bruno Segalini Pamela è stato ispirato “dalla rabbia e dalla frustrazione dei giovani che ho incontrato dopo aver scritto Fiamme e rock’n’roll. Questo romanzo è il tentativo di incanalarla e trasformarla in una possibile ipotesi alle loro giuste istanze. Pamela, che come Libero ho davvero conosciuto nel suo bar LGTB, è stata invece la persona capace di stimolarmi ad immaginare le dinamiche della storia e a scegliere di ambientarle in un piccolo paese, luogo in cui le storture economiche, politiche e sociali del nostro tempo potevano affiorare con ancora maggiore chiarezza. E, soprattutto, avendo la sua reale condizione di esclusa dalla società parecchie analogie con quella delle nuove generazioni di cui i quattro soci della Flowers fanno parte, mi ha regalato il divertimento di poter unire i loro destini in una rocambolesca e comune avventura”. Il film a cui lavorano i protagonisti di Pamela è proiettato in un futuro distopico (e qui c’è qualcosa in comune con Una violenta contrazione), ma avendo rifiutato un corposo budget da una multinazionale che, neanche a dirlo, pretendeva un cambio copernicano della struttura del progetto, gli amici della Flowers si trasferiscono un po’ alla volta a Demetra, un’immaginaria cittadina ligure abitata da cento persone. È luogo un po’ decadente, con hotel in disuso e molte porte chiuse, un microcosmo di provincia dove tutti sanno tutto, ma dove Libero, la principale voce narrante di Pamela dice: “Mi sentivo felice, come quando trovo la soluzione giusta per un montato e non vedo l’ora di metterla in pratica. La differenza sta nel fatto che, in questo caso, non si tratta di strutturare un film, bensì la nostra vita”. Gli intrecci con la politica locale (e non) metteranno a dura prova l’anima punk dei soci della Flowers e l’idea di ingannare il destino con le loro colorite soluzioni do it yourself si scontrerà con tutta la gamma di italico provincialismo, dalle ambiguità degli amministratori pubblici alle connivenze delinquenziali fino alle frustrazioni della burocrazia. Senza infierire, perché il tono resta informale e accattivante, a partire dai tratti gergali e dialettali, che infondono a Pamela i tratti genuini dell’autenticità. Una costruzione del linguaggio spiegata così da Bruno Segalini: “Più che altro si tratta di una scelta narrativa, utile a sottolineare la distanza che separa mondi contemporanei e, allo stesso tempo, lontanissimi tra loro: la provincia e la metropoli. Inoltre, conoscendo bene i contesti caratterizzati da questi tipici modi di esprimersi, non ho fatto una gran fatica. Da tanti anni lavoro come editor video e, dopo aver vagato lungo lo stivale con una chitarra elettrica appesa al collo, ho vissuto in Liguria per un discreto periodo. In piccoli paesi, molto simili a Demetra”. L’atmosfera generale è quella agrodolce della commedia e Pamela, seguendo i tratti picareschi dei suoi personaggi, lascia fiorire un sottotesto di valori (amicizia e solidarietà su tutti) che si scontrano con la realtà dell’indifferenza, dell’opportunismo, della corruzione. Il finale concede la giusta passerella a Pamela che si assicura il coup de grace, ma arrivati a questo punto, vale la pena scoprirselo da soli.
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