L’insieme degli articoli raccolti in L’altrui mestiere ha una sua logica stringente, per quanto composita, e svela alcuni risvolti sensibili e qualche angolo nascosto del lavoro di Primo Lev. Come scriveva Italo Calvino nell’introduzione, prima di tutto emergono “l’abito mentale scientifico, la misura dello scrittore e del moralista”. Le tre componenti si sovrappongono spesso: Primo Levi usa i saggi come una specie di diario, un modo per raccontare le sue “esperienze”, definizione molto ampia che attraverso il ruolo delle parole tocca l’astronomia, l’entomologia o l’urbanistica e i suoi principali interessi, la chimica e la scrittura. Dentro questa varietà di soluzioni c’è la costante attenzione alla forma dato che, secondo Primo Levi, “chi scrive è libero di scegliersi il linguaggio o il non-linguaggio che più gli si addice, e tutto può darsi”. Il cardine a cui ruota attorno la “letteratura della memoria” di Primo Levi è la convinzione che “non siamo una specie stupida”. La razionalità dipende dal fatto che “la parola ci differenzia dagli animali: dobbiamo imparare a far buon uso della parola. Menti più rozze delle nostre, mille e milioni di anni addietro, hanno risolto problemi più ardui. Dobbiamo far sentire più forte il mormorio che sale dal basso, anche nei paesi in cui mormorare è vietato. È un mormorio che scaturisce non solo dalla paura, ma anche dal senso di colpa di una generazione. Dobbiamo amplificarlo. Dobbiamo suggerire, proporre poche idee chiare e semplici agli uomini che ci guidano, e sono idee che ogni buon mercante conosce: che l’accordo è l’affare migliore, e che a lungo termine la buona fede reciproca è la più sottile delle astuzie”. Il compito assegnato è presto evidente: “Finché viviamo, e qualunque sia la sorte che ci è toccata o che ci siamo scelta, è indubbio che saremo tanto più utili (e graditi) agli altri e a noi stessi, e tanto più a lungo verremo ricordati, quanto migliore sarà la qualità della nostra comunicazione”. Da Aldous Haxley, Raymond Queneau, François Rabelais agli spunti critici verso I promessi sposi, la rassegna delle letture concorda con gli scrupoli espressi a viva voce da Primo Levi: “Ho sempre pensato che si deve scrivere con ordine e chiarezza; che scrivere è diffondere un messaggio, e che se il messaggio non è compreso la colpa è del suo autore; che perciò uno scrittore beneducato deve fare in modo che i suoi scritti siano capiti dal massimo numero di lettori e con il minimo di fatica”. Questo perché Primo Levi giunge alla conclusione che, pur essendo indefinibile (“Scrivere non è propriamente un mestiere, o almeno a mio parere, non lo dovrebbe essere: è un’attività creativa, e perciò sopporta male gli orari e le scadenze, gli impegni con i clienti e i superiori”) in definitiva “scrivere è un servizio pubblico”. Due i capitoli esemplari, che valgono la scoperta di tutto L’altrui mestiere. Scrivere un romanzo è un saggio da leggere e rileggere per comprendere l’essenza della narrativa nella sua massima espressione. Eclissi dei profeti è in realtà una sorta di monito, a ben guardare molto preciso e attuale: “Il nostro futuro non è scritto, non è certo: ci siamo svegliati da un lungo sonno, e abbiamo visto che la condizione umana è incompatibile con la certezza. Nessun profeta ardisce più rivelarci il nostro domani, e questa, l’eclissi dei profeti, è una medicina amara ma necessaria. Il domani dobbiamo costruircelo noi, alla cieca, a tentoni; costruirlo dalle radici, senza cedere alla tentazione di ricomporre i cocci degli idoli frantumati, e senza costruircene di nuovi”. Da tenere in considerazione.
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