venerdì 27 dicembre 2024

Paolo Scardanelli

All’inizio è tutta un’altra Milano: con la nebbia, i cantieri e le periferie riportano alle atmosfere dei film di Fernando Di Leo. È ombrosa, frammentaria con figure che si muovono ai margini lungo i contorni di un’ambiguità di fondo. La violenza è una notizia. Gli anni passano in fretta e “la città dalla doppia identità” nel 1982 si avvia a una stagione scintillante ed effimera, poi celebrata da un film come Sotto il vestito niente, la cui trama ha più di un passaggio in comune con Belletti e il Lupo. Lo scenario cambia: interi quartieri vengono rimodellati, il passato viene cancellato, il nuovo che avanza si nutre di un sottobosco di faccendieri, collusioni, avidità e misfatti assortiti. In questo torbido milieu dove l’omicidio è un’opportunità o un hobby, le digressioni filosofiche di Belletti alias Scardanelli si alternano nelle trattorie con la cassœula, le cotolette e mezzo litro di barbera. È  sconfitto, ma non battuto: la sua vocazione, l’intuito e la comprensione della desolazione del genere umano sono di gran lunga più efficaci e veloci dell’apparato burocratico che amministra la giustizia con tutte le sue liturgie metropolitane. Belletti è uno sbirro di strada che conosce il peso delle informazioni, delle conoscenze e del controllo del territorio. Sa che sono state versate“troppe lacrime su questa città”, così come “ci sono momenti nei quali farsi domande può essere pericoloso”, ma è istintivo e come tale soggetto a improvvise deviazioni e a cambi di rotta, non sempre adeguati. Nei due casi di cui si deve occupare, gli assassini e i complici non sono un mistero, e nemmeno i moventi. Uno si risolve con una confessione più o meno spontanea, l’altro si trascina fino al tribunale, con il supporto prezzolato della stampa e degli avvocati. Non c’è whodunit o particolare suspense: appare chiaro e lampante, troppo e troppo presto, chi sono i colpevoli, ma la verità viene rimessa alle valutazioni della dialettica e della giurisprudenza e nell’occasione le doti spontanee e naturali di Belletti risaltano per contrasto, ma non possono molto di più. È  solo e ha per alleate giusto la commissaria Regazzoni e la giornalista Giacosa in una lotta impari, dato che “in fondo siamo dei sopravvissuti; ai nostri destini, ai nostri doveri”. Qui l’aspetto poliziesco è un sfondo o un canovaccio su cui si dipana in lungo e in largo l’infinito dilemma della dualità: centro e periferia, vittime e carnefici, ricchi e poveri, caldo e freddo, uomini e donne, giustizia e verità, famiglia e solitudine e, più di tutto, realtà e immaginazione. Proprio lì scorre il flusso filosofico di Paolo Scardanelli, che è tranchant nel definire i protagonisti e i relativi destini, a partire proprio da quello del Belletti, destinato a un finale malinconico, ma tutto sommato molto concreto visto che “come noi tutti, deve venire a patti col reale; e con la verità, che non è sempre quella che appare”. Possiamo scommetterci che ci sarà un seguito: Belletti ha risorse e pensieri da condividere, e l’annuncio di una destinazione molto interessante, soprattutto perché “nessun potere può distoglierci da noi stessi”. Resta da ricordare la citazione di Johnny Cash infilata lì così (volutamente fuori sincrono) per ricordare come, diceva “the man in black”, che siamo sempre dalla parte delle vittime, proprio come il commissario capo Belletti.

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