Dietro le parole nasconde e insieme rivela il lavorio di Claudio Magris, trattandosi di una raccolta di articoli che vanno dal 1973 al 1978 che comprendono ritratti e saggi dedicati a Novalis, Tolstoj, Kafka, Canetti, Svevo, Nietzsche, Ibsen, London, Handke, Kundera, Musil, Singer, Borges, Walser. Si trova la consueta attenzione alla cultura mitteleuropea (che poi troverà una sua pregiata definizione in Danubio) qui declinata soprattutto sul versante asburgico perché, come scrive Claudio Magris, “la civiltà austroungarica è stata invece assunta nella vera poesia come un modello nel senso sperimentale del termine, ossia come una costruzione ipotetica da contrapporre alla realtà per meglio capirne l’essenza e il funzionamento”. Una porzione consistente degli articoli è dedicata alla poesia, a partire dalla precisa distinzione di August Wilhelm Schlegel (“La poesia degli antichi era quella del possesso, la nostra è quella della nostalgia”) alla definizione coniata dallo stesso Magris: “La poesia è il regno della pluralità, la dimostrazione della molteplicità delle vie che conducono alla civiltà, la negazione di ogni gelosa autarchia; sentire e far sentire questa corale eguaglianza nella diversità significa conservare la libertà e la forza dell’individuale”. Da Brecht a Saba, da Hofmannsthal a Rilke, da Borges a Biagio Marin (“La bellezza della poesia di Marin è la perfezione delle cose che hanno bisogno di molto tempo per crescere e formarsi, rispecchia i tempi lunghi delle sue amate conchiglie che assumono lentamente sul fondo del mare la loro levigata e impeccabile simmetria; è una bellezza da cui sembra spirare la saggezza di Hokusai, il pittore giapponese che si proponeva di arrivare all’essenza del disegno quando avesse raggiunti i cent’anni), le digressioni di Magris hanno una costante nell’assidua ricerca nella e per la scrittura non solo come strumento di conoscenza, e di elevazione, ma anche di autodifesa perché “soltanto l’astrazione e la riduzione più rigorosa paiono promettere di rivelare il senso dell’esistenza, come se solo sfrondando e definendo la vita dell’intrico degli affannosi dettagli che l’avviluppano si potesse liberarne la sostanza, come se il nocciolo fondamentale fosse raggiungibile unicamente dopo aver amputato e potato quanto appare accessorio”. Le articolazioni, per quanto vengano approfondite nella ricerca Dietro le parole, appaiono persino relative: si tratti di fiabe (Andersen), saggi (Cases), storia (Tamerlano, Francesco Giuseppe), appunti di viaggio o riflessioni filosofiche, secondo Magris “scrivere e leggere, trasportare l’esistenza sulla carta permette di mettersi al sicuro dalla durezza e dal caos del presente; solo nell’immateriale rarefazione operata dal ricordo e dalla penna è possibile cogliere quella luce dell’essenziale che, nel presente, è oscurata dalle angosce occasioni che incalzano da ogni parte”. Questo vale anche e soprattutto nella formazione del linguaggio rispetto alle evenienze e alle urgenze quotidiane che trova in Critica delle istituzioni un esempio particolarmente efficace, ma che traspare sempre nel tono di Magris, in particolare quando ricorda che “la confusione della piazza è, come sempre, un riflesso della confusione della reggia”. Da leggere, e rileggere.
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