Alle Metropoli d’Asia, Andrea Berrini ci arriva in punta di piedi, quasi per caso, seguendo una vocazione alla curiosità e alla scoperta che l’aveva portato prima in Africa, poi sul monte Ararat, un simbolico confine tra occidente e oriente. Già in quei passaggi Andrea Berrini non s’inventava novello Bruce Chatwin: la sua percezione da viaggiatore non si limita all’incanto e allo stupore, che comunque non mancano e hanno un ruolo specifico nell’affrontare le Metropoli d’Asia. Trasportarle nell’astrazione delle parole è a suo modo un altro tragitto perché, come dice ancora Andrea Berrini, “le metropoli, personaggi esse stesse, ho voluto raccontarle pescando storie un po’ a caso, sperando che le storie rendano conto anche dei temi. E che le differenze tra loro servano infine a esaltarne il tratto comune. Ero là, son passati pochi anni, questo era ciò che attraeva il mio sguardo, e ciò che ne racconto è la mia memoria”. Gli Sguardi su un altro futuro espressi dal sottotitolo maturano osservando i contrasti, le contraddizioni, le mutazioni e riconducendoli a un’esperienza personale, a una ricerca che non è soltanto geografica, o storica. Implica una metamorfosi più intima e profonda, alla quale non si può sfuggire. Succede già a Pechino, che è l’inizio e in qualche modo anche la fine, dove Andrea Berrini ammette che “lo sconosciuto di turno a volte sono io: una corsa in taxi è spesso un’avventura, pronuncio la mia destinazione sbagliando immancabilmente gli accenti in mandarino, e quindi pronuncio parole diverse da quelle che voglio”. Pechino è un labirinto: la censura, uno sviluppo economico feroce, la negazione della memoria, lo smog, l’evoluzione urbanistica e architettonica sono stranianti, tant’è che Andrea Berrini confessa di averla vissuta “come una lunga navigazione solitaria tra un approdo e l’altro”. A Kuala Lumpur, la sensazione è simile, ma con un’accelerazione che mette passato e futuro su un piano inclinato e ci si arriva con “una corsa cieca, come avere i paraocchi, buona introduzione a una città che già mi hanno descritto come una bolla di surmodernità, astratta da un paese fondamentalmente agricolo: quindi dai, restiamo dentro al videogioco, stiamo a vedere cosa succede”. Buon compagno di avventure è Brian Gomez, chitarrista, autore di Malesia Blues, poi imprenditore in una realtà fluttuante, ma non è un caso: una dopo l’altra, nelle Metropoli d’Asia si susseguono gli appuntamenti con editori e scrittori, che a volte volgono in amicizie, altre si rivelano momenti fugaci, di cui resta soltanto un alone di nostalgia. Da Hong Kong arrivano dispacci della rivolta degli ombrelli, le lotte per la libertà e la democrazia contro “l’armonia” del governo cinese, poi le contorsioni culturali di Singapore e Bombay, finché Andrea Berrini si convince che “valeva e vale la pena di guardarle da vicino, le città nuove dell’Asia, misurarle, imparare, preoccuparsene forse. Lasciarsene contagiare. Utilizzarle per riflettere su cosa siamo noi e ritrovare, visti da fuori, prospettiva. Un mondo che riproduce la modernità che noi abbiamo alle spalle, con tutto ciò che abbiamo perso, e che vagheggia un domani con cui anche noi dobbiamo fare i conti”. Si tratta di “immaginare la vita in un altrove” e il senso delle escursioni nelle Metropoli d’Asia è proprio questo, con tutti i limiti che Andrea Berrini sa riconoscere: sarà vero che la forma “sulla pagina è parziale perché non è che l’ultima tappa conclusa, e ci sarà un tempo per andare più in là”, ma intanto ha saputo renderle più vicine.
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