Pesce e Scimmia sono musicisti con trascorsi non proprio limpidissimi e un’allergia (giusto per usare un eufemismo) per le forze dell’ordine. Mentre scendono lungo un’impervia valle bergamasca per tornare in città, incrociano un posto di blocco. Per loro sarebbe inquietante già in condizioni normali, ma vedendo quattro camion dell’esercito, comprendono, anche in condizioni mentali limitate, che è successo qualcosa. Siamo solo all’inizio di Una violenta contrazione che ben presto spinge i due amici a confrontarsi non solo con i rispettivi (e turbolenti) passati, ma anche con l’imprevista insorgenza di quel subdolo virus che ha cambiato per sempre le nostre vite. Qui i soprannomi giocano un ruolo sibillino e significativo: a ben guardare Scimmia e Pesce sono passaggi significativi dell’evoluzione verso l’essere umano, e non a caso Pesce vivrà una parziale mutazione in rettile, fenomeno dovuto anche all’uso di sostanze lisergiche. La metamorfosi non riguarda solo lui, ma tutti i convitati nello scenario di Bergamo della primavera 2020: le esistenze dei personaggi si intrecciano e si ribaltano con lo sviluppo dell’azione. Tutto pare succedere per caso o meglio per quei meccanismi automatici di azione e reazione che regolano le dipendenze, così come ogni legame. Proprio sotto Bergamo, nei vecchi canali dell’acquedotto, si sviluppa una zona temporaneamente autonoma che, da rifugio ottimale e via alternativa nei giorni della pandemia, si trasforma in una trappola mortale. Non c’è lieto fine, come non c’è stato nella realtà: l’underground è duro da digerire e se in superficie si alternano agenti segreti, oscuri tentativi di mascherare la realtà e drammi famigliari, nei cunicoli si inseguono spacciatori, fuggitivi, traditori, ribelli e outsider di ogni specie e genere. Una volta passati per quel tombino, la storia si fa convulsa e sincopata, Scimmia e Pesce sono coinvolti in qualcosa che non si aspettavano e i colpi di scena si susseguono uno dopo l’altro a un ritmo incessante. Sembra di finire dentro dritti un rave e il mondo sotterraneo si svela come una versione speculare e deformata di quello in superficie, con le declinazioni del potere (legale e non, la differenza resta molto, molto labile) che si manifestano in tutta la loro brutalità. Bruno Segalini concede più di un’apertura psichedelica, ma nella sostanza emergono tutte le deviazioni e le frustrazioni, i soprusi, le contorsioni delle famiglie e delle carriere che nel procedere di Una violenta contrazione si sommano all’immane tragedia della pandemia nelle valli bergamasche. Bruno Segalini non fa sconti, né sopra, né sotto, e la scrittura è immediata, in prima persona, non filtrata e non vaccinata da editori, editor ed editing (Una violenta contrazione è pubblicato in modo completamente indipendente) ed è perfetta per dare forma all’oscurità e agli effetti del Profondo Blu (bisognerà scoprire da soli di cosa si tratta), del gioco d’azzardo, della vita in mezzo alla strada, di sotterfugi e di legami distrutti che sopravvivono aggrappati ai ricordi, ma tutto è sempre e ancora vincolato alla ramificazione del potere e dei suoi nefasti effetti che, proprio nei giorni della pandemia, si sono rivelati in tutte le peggiori forme.
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