La poesia di Amedeo Anelli in Neve pensata è un’insistente ricerca di silenzi, di contrasti, di orizzonti e di modi per scolpire il tempo. Una vocazione che si manifesta già nei passi conclusivi della densa ouverture del primo Notturno, quando Amedeo Anelli si chiede: “Ma chi sa più scrutare il segreto di quelle stelle? Chi conquistare il senso del fiorire muto del tiglio? La musica densa del tempo? Il silenzio potenziale. S’incardina la vita”. La risposta arriva, con le sembianze di un’eco, nel successivo Notturno che ricorda come “il mondo terribile è quaggiù, poltiglia e gelo, e il sordo rumore di un ramo che si spezza”. È evidente l’urgenza di delimitare gli spazi dove possano prendere forma le Rappresentazioni del tempo che, in fondo, sono la spina dorsale di tutta la Neve pensata. L’elemento geografico (e climatico) non è imperante, ma non è nemmeno trascurabile perché, come scrive Amedeo Anelli in Stele I, “la lingua muove discorso nel vuoto segnato irraggiungibile come il limite dello sguardo”. Per comporre il conflitto tra visibile e invisibile, la pianura lombarda si rivela l’habitat ideale, vista l’esiguità delle prospettive che a tratti si riducono a una sola dimensione (orizzontale). In questo senso, conta più la nebbia, della neve. La nebbia è per Amedeo Anelli, quello che il mare era per Montale: uno specchio e un canovaccio, una maschera e un giardino segreto. Quando, con una piccola deviazione da quelle che Gianni Celati chiamava le “condizioni di luci sulla via Emilia”, ci si inoltra nella campagna (Invernale, naturalmente) la poesia diventa convivio, a base di menù ruspanti (“nei paioli: cotechino e polenta fumanti”) frutto dell’idea di “fare comunità, fare cibo”. La sosta permette di scoprire angoli di una terra dove il tempo non si è ancora imbruttito, con “lo stupore della luce scolpita nelle tenebre” che si rivela con “il segreto delle fiamme e delle braci, poi cenere”. I particolari domestici si sommano spontaneamente alle inquadrature e ai movimenti, associando così anche gli interni e gli esterni. È un pettirosso, non senza una sorprendente grazia, nella prima delle Progressioni che compongono In memoriam, il corpo centrale di Neve pensata, a condurre Amedeo Anelli in un labirinto di dediche ed elogi, tracce ed ombre, sguardi e ricordi. Come vuole la tradizione, il pettirosso porta la neve e, eccola qui, la neve è schermo, è cornice, è muta magia che permette di ricevere un toccante messaggio dagli anfratti della prima guerra mondiale (Dal 1915) e che diventa sfondo per la frequente apparizione dei treni, l’unica variazione dinamica e, nel complesso, un’importante segmento simbolico. “Tutto va all’indietro come in treno il paesaggio, se cambi posto fugge tutto in avanti, nel non visibile” scrive Amedeo Anelli nei versi di Linee, nel cuore di Tessuto i corpi, terza e ultima parte di Neve pensante. Sono parole che indicano le svolte suggerite da un’Offerta musicale (“Come il fondo di un cassetto, il pensiero sostiene lo sguardo nel trascorrere della luce, nel centro dell’esplosione”) o dai Luoghi del silenzio, che portano verso la neve macchiata da un “tempo crudele-barbarico” a Beslan, attorno a cui matura la convinzione espressa in Principi e apologhi: “Ma vincono le tenebre. A pochi metri il nero fondale. Un drappo che avvolge e rende invisibile”. La visione è più che credibile, ma civilissima e sentita poesia di Amedeo Anelli non dispera: si accorda alle note dell’emozione e trasmette il calore di un focolare, con la giusta devozione al ricordo (“Mi guardi da una fotografia, ti porto con me in incerta navigazione, in questo bianco assoluto in questo bagliore freddo, nel tepore del mio corpo segnato dalla memoria”) e una scrupolosa vicinanza alle sorprese che ancora può riservare una terra piatta e indecifrabile.
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