L’esilarante scena di 48 ore di Walter Hill in cui Eddie Murphy canta Roxanne nella cella di una prigione vale quanto la sequenza da Il tempo delle mele che è la pietra angolare su cui si basa Lo sguardo di Vic. Questo è dovuto al fatto che il walkman ha ridefinito l’habitat musicale e lo scenario è cambiato perché “l’ascoltatore dotato di walkman costituiva un cambiamento in termini culturali e sociali perché rinegoziava la propria presenza nel tessuto sociale”. Persino in galera e per spiegare come è successo Stefano Solventi comincia citando Shuhei Hosokawa: “Il walkman è in grado di costruire e/o decostruire la rete del significato urbano, perché può organizzare un teatro aperto e mobile attraverso le sue manovre clandestine, che trasformano la costellazione spaziale dell’urbano. Questo accade perché l’ascoltatore diventa un possibile sconosciuto che parla una lingua pedonale incomprensibile”. Il legame con un nuovo paesaggio, insito nel nome stesso del walkman, è precisato così anche da Iain Chambers: “L’immagine di un essere umano solo che cammina per la sua strada, dritto verso la sua meta, che ascolta solo se stesso trasmutato nelle sue canzoni preferite. Un essere umano, soprattutto, libero di scegliere chi essere e come apparire attraverso la scelta della musica che si porta con sé”. Con il walkman, si “stava scoprendo una modalità inedita di ascoltare”, senza ombra di dubbio, ma nel suo affermarsi (e non era scontato) si è via via visto che “un dispositivo progettato per integrarsi all’individuo, per lasciarlo com’era, a un livello profondo lo cambiava”. Questo è un po’ lo snodo centrale a cui si dedica Lo sguardo di Vic: un cambiamento che “avviene proprio su questa linea d’ombra, nel momento cioè in cui individualismo e collettività si compenetrano, riformulandosi a vicenda”. Dice ancora Shuhei Hosokawa, a cui ritorna spesso Stefano Solventi, che il walkman è “non esclusivo ma inclusivo, non concentrato ma distratto, non convergente ma divergente, non centripeto ma centrifugo”. Oltre a Hosokawa, Lo sguardo di Vic attinge a una vasta teoria di letture, compresi tra gli altri William Gibson, Slavoj Žižek, Félix Guattari, Luciano Floridi, Luigi Zoja, Pierre Lévy, Greil Marcus, Richard Middleton e Marco D’Eramo (“L’unica idea di libertà che ci permettono è la libertà-menu”), con le quali cerca di illustrare come “in un certo senso, il walkman non ci ha più abbandonati: ha indicato la direzione. Bene o male, lo ha fatto”. È vero, e l’analisi e il racconto procedono attraverso i film, prima tra tutti, Il tempo delle mele, poi Pretty Woman e Strange Days, non a caso tre film imperniati sulla musica (gli ultimi due a partire dal titolo), ma anche le progressioni di Alien, Matrix, Terminator e Jurassic Park. Seguendo le alterne fortune del walkman, Lo sguardo di Vic è soprattutto l’occasione per rileggere come si è modificata da allora a oggi la fruizione della musica con tutti i relativi interventi tecnologici. Dal giradischi allo smartphone, dalle cassette allo streaming, è vero che “il progresso spesso procede sui propri rottami”, ma c’è qualcosa nello sviluppo che “il segreto” dell’ascolto ha introdotto. Parafrasando Solventi, il walkman non è un dispositivo, è “un sentimento” e ogni volta che indossiamo le cuffie “stiamo compiendo una specie di sortilegio: vale a dire, rievochiamo il walkman fantasma annidato nel nostro dispositivo”. Dal riavvolgere il nastro con la Bic a scaricare intere discografie con un clic fino ad avere a disposizione sterminate galassie musicali, sembra incredibile che sia cominciato tutto con il walkman, ma Stefano Solventi nota giustamente come “i simboli siano quasi sempre inconsapevoli e, soprattutto, postumi”. Chiarissimo, e molto utile.
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