A volte basta poco per ritrovarsi in “una storia più grande di noi” da cui è difficile districarsi, se non con l’aiuto della lettura e della scrittura, due strumenti che per molti motivi collimano mentre ci si inoltra verso La casa dei tre giorni. Andrea, di professione autista (e qui si sovrappongono le sfumature autobiografiche di Giuseppe Cortina, all’esordio letterario), ha uno spiccato senso per l’osservazione e incappa in una deviazione tra il paesaggio laborioso della Brianza e le sponde del lago di Como che attira la sua attenzione verso un luogo che chiamano, appunto, La casa dei tre giorni. L’impressione si trasforma in un sogno, poi nella volontà di scoprire di più, di conseguenza in un viaggio nel tempo. Il lago è sul confine e sul finire della seconda guerra mondiale è una meta frequente da chi, all’improvviso, si trova braccato. Nel crollo del regime e nell’avanzare del fronte la fuga resta l’ultima possibilità, anche se l’istinto per la sopravvivenza spesso è sottomesso alla rassegnazione. Il rischio di essere catturati e fucilati è all’ordine del giorno. Da lì si genera un’escursione nella memoria che coinvolge tutti i sensi, con Giuseppe Cortina che riesce, come è accaduto poche altre volte, a raccontare la pietà umana verso gli ultimi giorni di un dittatore, il cui destino è segnato. Non era, e non è, un’impresa priva di rischi, ma La casa dei tre giorni avvince per l’atmosfera sospesa in una sorta di soffice bruma che domina la superficie lacustre, rendendo tutto ovattato, ma anche misterioso. Lo sviluppo, naturalmente, tiene conto della ricostruzione storica (almeno di quanto reso noto dalla ricerca) e la fine dell’ingombrante ospite e della sua amante è nota a tutti, ed è inevitabile affrontare La casa dei tre giorni senza tenere conto di questo limite. La sfida, dal punto di vista narrativo, era proprio quella di confrontarsi con una conclusione già scritta, eppure Giuseppe Cortina lascia intravedere uno spiraglio nella storia, mostrando lati imprevedibili e dolenti, anche se si tratta del cupio dissolvi di un dittatore e del suo regime. Quelli caduti prigionieri “del loro piglio autoritario e arrogante degli anni del potere non rimaneva niente; mentre si avviavano al patibolo erano ombre senza corpo, qualcuno bisognava sorreggerlo per non farlo cadere, la paura tagliava loro le gambe. Furono uccisi senza onore, come avevano vissuto, attenti solo ai loro meschini interessi”. Ad annodare, la figura della contessa, che dal passato ricorda come “il futuro prossimo non lasciava intravedere neppure un barlume di speranza, ma solo minacce e nuvole nere. In fondo, da due giorni eravamo tutti prigionieri, ognuno col suo destino da compiere, un destino che si allungava in ore che sembravano infinite. Il tempo però non si interessa delle nostre piccole vite e mette in fila i minuti facendoli marciare come soldatini ubbidienti, fino alla fine dei giorni”. Giuseppe Cortina costruisce una trama avvincente dentro il complesso reticolo della memoria storica, dei ricordi personali e in un contesto onirico. Ha una delicatezza e una grazia nell’affrontare passaggi spigolosi che riesce a rendere convincenti inquadrandoli con una scrittura limpida, diretta e concentrata sulle immagini. Non sfuggono certe simbologie (la presenza costante dell’acqua) o alcune metafore (la costante della strada) che Giuseppe Cortina aggiunge come fondali per ricordare quel momento in cui ai due ospiti che occupano La casa dei tre giorni, “il destino volle regalar loro pochi attimi di libertà, illusoria e fugace, una libertà che quell’uomo aveva negato tante volte negli anni del potere e che in quei giorni diventava anche per lui qualcosa di prezioso, di impalpabile, un desiderio che da lì a poco gli sarebbe stato negato per sempre”. Un romanzo che fa riflettere e fa scoprire un autore capace di entrare in punta di piedi, con discrezione, fino al cuore della storia.
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