Edoardo ricorda Pessoa, con un baule pieno di tormenti. Tommaso, che vola come “un vecchio Dakota”, resta in sospeso e l’evocazione del C-47, un aereo con una carriera lunghissima, lascia aperte un sacco di porte. Serpico è un pescatore, Elide fa il muratore e il profilo di Aurelio condensa, nella sua brevità, una straziante love story, e non sarà l’unica. Gente che si può incontrare solo in un sogno, in viaggio o per le calli di Venezia: nei Ritratti veri di persone immaginarie le facce non sono mai giuste, portano i segni di vite senza via di scampo o piccoli difetti rivelatori di una fisiognomica sotterranea, che si esplicita nel formato voluto, e così come è stato espresso. I disegni di Giorgio Camuffo con le trame Renzo di Renzo poste a fronte, come se fossero delle vere e proprie traduzioni, più che didascalie. I volti e le storie sono raccontati con quella leggerezza, così come la intendeva Italo Calvino, che vede questi piccoli frammenti trasformarsi in pagine molto solide (anche nella contrapposizione delle parole con le immagini, che hanno qualcosa ben oltre le due dimensioni in cui sono costrette) nel tentativo di afferrare quel momento in cui ci riconosciamo nei lineamenti altrui, ben sapendo che “quando hai passato tutta la vita in un bozzolo, la libertà è questione di attimi, il volo di una farfalla che non va mai troppo lontano”. C’è un’attenzione al tratto che ricorda John Berger, quando diceva che siamo fatti di storie, ma anche che “la facoltà della memoria nell’occhio della mente” vuole la sua parte. Allora bisogna trovare un modo di guardare scrupoloso perché “in ogni piccola cosa c’è un indizio. Le nuvole sono presagi del tempo, della pioggia imminente. Le orme sulla spiaggia, la conseguenza di un passaggio. Un mozzicone di sigaretta, la fine di un’attesa: se porta i segni del rossetto è una donna ad averla fumata. Quasi sempre: non sempre. Nessun dettaglio è insignificante”. Sono tutti degli outsider, come Amalia, la figlia “strana” del vicino, che sopravvive ingoiando pillole su pillole, o l’emblematica Agata che interpreta il doppelgänger del ritratto e nello specchio, e il doppio per antonomasia, le gemelle siamesi, due in un corpo solo, visto che si è mangiata la sorella. Quando non sono già fuggite, le figure femminili sono in sofferenza (del resto anche gli altri non se la passano benissimo) e viene da chiedersi: che errore ha commesso Bice? L’inchiostro nero dei capelli, spazzolati di continuo come se fosse un rito, non offre risposte perché tanto nei disegni di Giorgio Camuffo quanto nei racconti di Renzo di Renzo i vuoti e i silenzi valgono quanto i segni e le parole, spesso anche di più perché quelle raccolte da questi Ritratti veri di persone immaginarie “sono storie semplici, composte di pochi tratti abbozzati, come i ritratti che le rappresentano (e viceversa): gioie e battaglie di non sappiamo niente ma che in qualche modo possiamo ricondurre a noi, alla nostra vita, alle persone che davvero abbiamo incontrato, conosciuto, amato”. Uomini e donne che ci sono apparsi, di sfuggita, da qualche parte, nelle pieghe dei ricordi, e che riemergono in effigi perentorie come quella di Lillo, che è inadeguato perché proprio non ha le physique du rôle (e, ancora, un’altra “lei” se ne è andata). Un piccolo gioiello, che chiede pochissimo e accompagna in tanti anfratti in bianco e nero dove forme, percezioni e trasformazioni vengono scoperte come tante maschere sollevate all’improvviso.
Nessun commento:
Posta un commento