Per circoscrivere le perplessità filosofiche di fronte e/o dentro alle apparenze, Gianni Celati ha scelto una forma singolare, ingaggiando una lotta con la struttura e con il tempo per permettere alle quattro novelle di trovare la giusta collocazione. Un lavoro di misura, pazienza, attenzione e meticolosità, visto che lo stesso Gianni Celati diceva: “Il fatto è che scrivendo pezzetti sparsi come faccio io, diventa poi molto difficile dare il senso del racconto continuo e completo. Il racconto, la short story sono un genere che ha delle regole molto strette. Il lettore deve arrivare alla fine con l’impressione che tutti i nodi narrativi siano sciolti”. Lo stile è persuasivo: fin da Baratto ci si accorge che, nelle Quattro novelle sull’apparenza, le trame sono funzionali a una riflessione più ricercata, che filtra attraverso l’arguta espressione linguistica. Possono assumere persino i contorni della parodia in I lettori di libri sono sempre più falsi, dove il libro inteso come semplice oggetto (da vendere) diventa l’occasione per sfoggiare un sottile tratto (auto)ironico “Questa è più o meno la regola: uno scrive per vantarsi d’aver capito qualcosa, finché qualcuno non lo prende sul serio e gli offre un posto di lavoro”. Naturalmente, con Gianni Celati si accede a una dimensione più evoluta nella valutazione delle cause e degli effetti della scrittura come si evince nella conclusione di lettori di libri sono sempre più falsi: “Tutto ciò che si scrive è già polvere nel momento stesso in cui viene scritto, ed è giusto che vada a disperdersi con le altri polveri e ceneri del mondo. Scrivere è un modo di consumare il tempo, rendendogli l’omaggio che gli è dovuto: lui dà e toglie, e quello che dà è solo quello che toglie, così la sua somma è sempre lo zero, l’insostanziale. Noi chiediamo di poter celebrare questo insostanziale, e il vuoto, l’ombra, l’erba secca, le pietre dei muri che crollano e la polvere che respiriamo”. Questa fugacità delle parole, persino l’impossibilità di addomesticarle, diventa l’elemento centrale, e determinante, per la Scomparsa d’un uomo lodevole dove il pensiero del protagonista pare coincidere con quello di Gianni Celati quando dice: “Sì, perché mi vedo in una storia, ce l’ho sempre in testa, e capisco che qui è già tutto previsto. Vedo questa storia in cui sono capitato, vedo la gente per le strade, e capisco che tutti si muovono secondo un copione previsto. E nello stesso insondabile copione deve anche esser già previsto ciò a cui quest’uomo andrà incontro, scritto nel suo inverosimile memoriale, è come essere nel sogno d’un altro”. È così: le Quattro novelle sulle apparenze hanno la loro originalità in una sospensione tra reale e surreale, con profili di provincia accentrati e limati e storie che si snodano con l’eleganza di una biscia, con i ritmi sinuosi e incantatori. Persino paradossali se si vuole seguire la lettura che fece Giorgio Manganelli di Condizioni di luce sulla via Emilia definendolo “straordinariamente nitido, esemplare” e insieme “insieme, nebbioso, enigmatico, elusivo”. Nello stesso modo, i personaggi, a partire da Baratto, sono sempre alla ricerca di qualcosa, se non altro, di se stessi. Un altro passaggio nella Scomparsa d’un uomo lodevole è altrettanto eloquente: “Come un cane al guinzaglio ero ricondotto verso casa da una controfigura di me stesso con baffetti alla francese. Per quanto ne so, le stelle lontane e gli anelli di rotazione delle nebulose e i globi prodotti dall’aggregazione della materia, tutto questo continuava nello stesso modo e con gli stessi risultati; ma per me rientrando in rue d’Armenoville tutto s’era già striminzito ad un pugno d’apparenze che mi ponevano quest’unica domanda: tu chi sei? Il resto sempre molto prevedibile”. Il gioco astronomico, non meno delle rifrazioni nella pianura, è solo la cornice ideale per arrivare alla considerazione che la salvezza dipende da “una spiegazione che si riesce a inventare”, e poi custodita con cura nelle parvenze di una storia.
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