Sullo sfondo di cime ripide e maestose, si confrontano il più antico e potente dei camosci e il più vecchio e astuto dei cacciatori. Entrambi fiutano la fine nell’aria: pietra dopo pietra, passo per passo guidati da una farfalla bianca. E’ la montagna, più che l’uomo o l’animale, ed è lo stesso Erri De Luca a svelarne il ruolo predominante: “La montagna nasconde, ha vicoli, soffitte, sotterranei, come la città dei suoi anni violenti, ma più segreta”, ed è un’anima che si svela con i tempi delle stagioni e con le ragioni dell’immobilità. Ci vuole la pazienza di un muschio aggrappato alla roccia e per questo il confronto tra l’uomo e la montagna non è diverso di quello tra il re dei camosci e la montagna o tra i due esseri viventi e scalpitanti tra le rocce e i cespugli. E’ un triangolo a più dimensioni che segue proprio la proiezione della montagna verso l’alto, la sua coriacea essenza terrena e i suoi impenetrabili silenzi, un linguaggio tutto da decifrare. Sia il cacciatore che l’imperatore dei camosci conoscono, per averli vissuti, l’alfabeto, i codici, i microscopici segnali che danno un vantaggio o che siglano un capolinea e li hanno imparati perché appartengono tutti e due a un sottoinsieme molto particolare visto che, come spiega Erri De Luca, “in ogni specie sono i solitari a tentare esperienze nuove. Sono una quota sperimentale che va alla deriva. Dietro di loro la traccia aperta si richiude”. Il confronto a distanza verte attorno a quelle che possono apparire minuzie, ma lassù dove ci sono soltanto loro rappresentano una sorta di codice da cui dipende, in definitiva, la sopravvivenza: Basta un sasso che rotola, la direzione del vento, un odore nell’aria, una traccia nel terreno, a cambiare un equilibrio fragilissimo, costruito nel silenzio e nell’attesa. È sufficiente il movimento di una farfalla, naturalmente: Erri De Luca segue il suo leggero, impercettibile spostarsi, o la sua immobilità, e si fa guidare per disegnare l’umanissima volontà di vendetta dell’animale e l’animalesca percezione dell’uomo. Entrambi sanno che non hanno altre stagioni davanti e sono uno il capolinea dell’altro, ma la parola fine la scrive la montagna. Anche se l’uomo parte da un grado di inferiorità evidente, come scrive Erri De Luca: “Sono scarsi i sensi in dotazione alla specie dell’uomo. Li migliora con il riassunto della intelligenza. Il cervello dell’uomo è ruminante, rimastica le informazioni dei sensi, le combina in probabilità. L’uomo così è capace di premeditare il tempo, progettarlo. E’ pure la sua dannazione, perché dà la certezza di morire”. La conclusione è quella, tra i profili ripidi e taglienti di un crinale che è terra e cielo insieme. Quasi a rispettarne i silenzi, nel definire Il peso della farfalla Erri De Luca mastica una lingua che deve molto ai tempi al rallentatore dei suoi protagonisti e del paesaggio che si trovano ad affrontare. Piccole frasi aguzze che s’incastrano una dopo l’altra, come le pietre di un sentiero, e tracciano la salita di un piccolo romanzo che è un grande racconto.
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