I mondi che possono essere contenuti all’interno di una canzone sono vasti e interminabili, ma non sempre così appariscenti e nitidi. Spesso, ovvero il più delle volte, confluiscono all’interno di un vortice tra strofe e ritornelli, dove è facile perdere di vista i dettagli suggeriti dai versi e dalle parole. A maggior ragione quando l’atmosfera in cui si riversano i significati è quella turbolenta del rock’n’roll, dove tutto è giustificato, anche quando non ha molto senso. L’ha ben compreso Liborio Conca andando a cercare proprio lì quella connessione tra “musica e letteratura” che è alla base di Rock Lit, titolo ristretto, esplicito ed esauriente nello stesso tempo. Si comincia con una festa in onore a William Burroughs, a New York, ma giusto un passo prima, Liborio Conca si premura di ricordare come “la prima volta che ascolti una canzone c’è solo la canzone, e può benissimo bastare a se stessa. Dietro quelle voci e quelle note, però, non c’è il vuoto ma la sensibilità artistica di chi l’ha scritta, attingendo a quella cassetta per gli attrezzi che comprende le esperienze di vita, le passioni, i gusti musicali, e quelle letture che hanno il potere di cambiarti o di mostrarti la realtà davanti ai tuoi occhi in un modo prima sconosciuto, come un’epifania che si allunga con il contorno di un’ombra e non ti lascia più”. Conoscere e descrivere quei meccanismi è già un’altra arte e in Rock Lit le suggestioni sono numerose, ben collocate, descritte con gusto e precisione, sapendo che “quando ci imbattiamo in un’opera destinata a cambiare la percezione che abbiamo delle cose, cose come il modo di intendere la vita o di stare al mondo, o che riguardano la complessa costruzione dei sentimenti, è in quel preciso momento che l’arte assurge alla sfera più alta della propria essenza. Nel caso di un romanzo o di un racconto accade quando una certa storia non si limita a passarci attraverso, ma ci penetra; e rimane parte di noi”. Così Rock Lit è una carte-du-vin con preziosi assaggi che Liborio Conca presenta con dissertazioni appassionate, ma anche con un linguaggio informale, che garantisce la possibilità di comprensione a tutti, neofiti compresi. È come sentirsi a casa e nello stesso tempo dentro un viaggio infinito perché i nomi sono conosciuti, ma la destinazione ogni volta resta ignota. Si incontrano i R.E.M., Kurt Cobain, Mark Linkous e i suoi Sparklehorse, Vic Chesnutt e Franz Kafka, Nick Cave e Flannery O’Connor, Leonard Cohen e García Lorca. Molti legami prendono forma via via e Leonard Cohen è giustamente ospitato come spartiacque tra la prima parte, che fa riferimento in gran parte alle esperienze americane e la seconda dove le attenzioni di Liborio Conca si spostano sul versante europeo, inglese in particolare, pur restando nell’ambito del linguaggio anglosassone. Per cui arrivano “legami, intrecci, visioni” tra Kate Bush e Cime tempestose, Robert Smith dei Cure e Albert Camus, e ancora Kafka, l’Alice di Lewis Carroll (un’influenza enorme su tutto l’immaginario del rock’n’roll), Ian Curtis con l’onnipresente Burroughs e Ballard, i Radiohead e Douglas Adams. Una bella riflessione è dedicata anche all’affaire del Nobel a Dylan e da lì infine si arriva a Springsteen, Patti Smith e, tornando al punto di partenza, di nuovo Burroughs. Merita una lettura a parte riguarda il sottotesto che scorre nelle note a piè di pagina, dove spesso si incontra la voce più personale di Liborio Conca, come quando racconta Michael Stipe nel dichiarare che “a causa di Patti Smith ho letto tutta l’opera di Rimbaud, a sedici anni”. In calce, l’appunto relativo è un riassunto breve e complessivo dell’intero Rock Lit: “Questa frase, per quanto possa suonare un po’ affettata, è una di quelle che per certi versi racchiudono il senso di questo libro. Michael Stipe ascolta Patti Smith e poi che fa? Corre a leggere tutto Rimbaud”. Funziona proprio così.