Quella formulata da Alberto Magnaghi con Il principio territoriale è una ragionevole proposta di opposizione allo sviluppo forzato delle megacity, come le chiama lui, e va cercata in un diverso modo di intendere il territorio e la presenza umana nel suo contesto. L’analisi è solidissima ed espressa molto chiaramente, pur tenendo conto delle necessità scientifiche e accademiche dell’esposizione indispensabili a chiarire come “la spropositata crescita dimensionale dell’urbanizzazione, una volta recise le radici territoriali dell’urbano, ci presenta così il quadro di un’umanità priva di identità, degradata, impoverita, affamata”. Quella che viene minacciato, in definitiva, è quell’idea “patrimonio territoriale”, beninteso non come “un bene statico, ma un evento dinamico, che cresce e si arricchisce della continua riscoperta dei suoi elementi potenziali da parte delle società locali che ne reinterpretano i valori e se ne prendono cura”. La “coscienza di luogo”, altrimenti ridefinita da Giacomo Becattini, necessita secondo Alberto Magnaghi di “un linguaggio che torna a essere comune da parte di una comunità locale che si autodefinisce riscoprendo i propri valori patrimoniali”. Le sue ricerche, dal Piemonte alla Toscana, le applicazioni pratiche, contribuiscono a formulare una “democrazia dei luoghi” costituita da “opposizioni e conflitti che, a partire dalla constatazione del peggioramento delle condizioni di lavoro e della qualità della vita nel territorio (in primis la qualità ambientale), ritrovano nei processi di auto-organizzazione di nuove forme e finalità produttive e di ricostruzione di legami con l’identità locale, di riaffezione ai luoghi e alla loro cura, forme di difesa ma anche di riappropriazione di senso della comunità sociale e produttiva, che il processo di astrazione del comando sul lavoro (ma anche sulla vita quotidiana) ha allontanano e distrutto”. La prospettiva che sottintende Il principio territoriale riguarda “un’organizzazione territoriale che sia in grado al contempo di riprodurre in modo equilibrato il proprio ciclo di vita, di elevare la qualità dell’abitare, urbana e territoriale, e di armonizzare fra loro fattori produttivi, sociali, ambientali, culturali, estetici per la produzione di ricchezza durevole”. Gli elementi costitutivi di questo approccio passano necessariamente dalla definizione e dallo sviluppo di una “nuova dimensione dell’abitare” che ha nella struttura della “bioregione” il suo centro di gravità permanente. La sfida che sottolinea ruota proprio attorno al valore della “bioregione” che, a saldo di tutte le sue caratteristiche, nella sua attuazione necessita comunque di “una cura collettiva, da parte degli abitanti, dell’ambiente dell’uomo (il territorio) e dei diversi luoghi che lo caratterizzano, per affrontare le gravi criticità, prodotte sul territorio stesso dal divorzio della civiltà contemporanea fra natura e cultura, attraverso la sua patrimonializzazione come bene, in quanto strumento determinante per ricondurre l’insediamento umano ad essere ospitale per la vita della specie sul pianeta”. Alberto Magnaghi non si limita ad illustrare per via teorica, ma indica anche passaggi e pratiche molto concrete da attuare: l’attenzione ai bacini idrografici, lo sviluppo delle economie locali (“Un cambiamento culturale verso la gestione sociale, solidale, relazionale del sistema produttivo bioregionale finalizzato al benessere degli abitanti richiama lo sviluppo di principi di un’economia orientata e gestita eticamente, fondata su sperimentazioni concrete di modelli economici alternativi o paralleli al mercato capitalistico”), la difesa della qualità del paesaggio e, per estensione, “la realizzazione di equilibri dimensionali, relazionali ed ecologici”. E due belle citazioni riescono a riassumere l’intera prospettiva di un rinnovato rapporto con l'ambiente che Il principio territoriale vede come primo atto per preservare “le unicità, le peculiarità, le specificità, in una parola la personalità di ogni luogo che ci permette di individuare stili di sviluppo peculiari con i quali ogni sistema locale può scambiare beni regionali nel mondo, nell’ambito di un riconoscimento universale dei diritti, delle libertà, delle culture”. La prima è di André Gorz e spiega che “la lotta contro la mercificazione delle risorse primarie riguarda la terra, le sementi, il genoma, i beni culturali, i saperi e le competenze comuni, costitutivi della cultura del quotidiano, prerequisiti dell’esistenza di una comunità; l’unità ristabilita fra soggetto della produzione e soggetto del consumo restituisce autonomia nella definizione dei nostri bisogni e dei nostri modi di soddisfarli”. La seconda, di Giuseppe Dematteis, esprime tutto Il principio territoriale in estrema sintesi: “La terra diventa territorio quando è tramite di comunicazioni, quando è mezzo e oggetto di lavoro, di produzioni, di scambi, di cooperazione”. Da leggere, rileggere e studiare: il futuro passa di qui.